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lunedì 22 ottobre 2007
Da qualche parte in Islanda
Comicia l'avventura
lunedì 1 ottobre 2007
1 settembre
Londra - Venezia Mestre
E’ bello finire così, tra le continue escrescenze bianche di Londra, tetti, comignoli, scale, bovindi, chiese che sbocciano dietro i prati, lunghi viali in cemento rosso, dà un senso di non finito, di qualcosa di vivido destinato a perdurare.
Chissà se questo qualcosa possa essere un sentimento, un emozione o più semplicemente l’istinto di qualsiasi viaggiatore un minimo romantico.
Lo stesso accanimento di chi come me saccheggia Westminster Abbey o come la mia compagna che beve un ultimo goccio di Guiness quasi a non volersi allontanare, a voler mantenere il sapore di questi 30 giorni che si concludono a Portobello.
Qui la vita ha mille colori, il rosa dei bandoni scintillanti, il verde delle casette ai lati. C’è rumore, frastuono forse, la voce di Dean Martin sgorga improvvisa e vellutata come in un film ed è astrazione, irrealtà, la stessa follia che ci ha spinto fin quassù.
Meglio non girare lo sguardo verso gli aerei lunghi e schiacciati che ci circondano.Forse adesso è solo ora di sognare, un altro viaggio, un altro aeroporto dove non arrivano voli di linea ma solo piccoli charter con destinazione LUNA!!
E’ bello finire così, tra le continue escrescenze bianche di Londra, tetti, comignoli, scale, bovindi, chiese che sbocciano dietro i prati, lunghi viali in cemento rosso, dà un senso di non finito, di qualcosa di vivido destinato a perdurare.
Chissà se questo qualcosa possa essere un sentimento, un emozione o più semplicemente l’istinto di qualsiasi viaggiatore un minimo romantico.
Lo stesso accanimento di chi come me saccheggia Westminster Abbey o come la mia compagna che beve un ultimo goccio di Guiness quasi a non volersi allontanare, a voler mantenere il sapore di questi 30 giorni che si concludono a Portobello.
Qui la vita ha mille colori, il rosa dei bandoni scintillanti, il verde delle casette ai lati. C’è rumore, frastuono forse, la voce di Dean Martin sgorga improvvisa e vellutata come in un film ed è astrazione, irrealtà, la stessa follia che ci ha spinto fin quassù.
Meglio non girare lo sguardo verso gli aerei lunghi e schiacciati che ci circondano.Forse adesso è solo ora di sognare, un altro viaggio, un altro aeroporto dove non arrivano voli di linea ma solo piccoli charter con destinazione LUNA!!
31 agosto
Reykjavik km. 50120-Keflavik km. 50172
I miei 3 compagni di stanza stanno ancora dormendo quando faccio per andare giù in cucina, la stessa cazzo di cucina superaffolata di cereali, petardi, filo per cucire. Una cucina vissuta, oltraggiata, come quando ieri sera ci siamo rimessi in circolo con i 4 italiani di ritorno da Husalfell. Uno di loro, detto Skogar ha iniziato a mangiare alle 21.10 e ha finito alle 22.40 dopo che erano terminate le scorte di provolone gigante.
L’altro che chiameremo Drum, perché verso le 23 si intabacca di brutto mi ha sbagliato il più bello dei fiordi orientali che ha additato come Seidasfiordu. Nonostante gli sforzi fonetici e le tavole di algoritmi fra tutti e due non ne azzecavamo uno. Un ultimo simpatico saluto ai programmatori dalla barba di 8 giorni e alle loro rispettive ragazze che in totale hanno occupato la cucina per 6 ore, 48 minuti e 13 secondi.
Stamani ci accoglie la solita cazzo di nebbia, è una nebbia insistente, quasi bigger than life; l’unico punto dove non attecchisce sono le stazioni dell’N1.
A proposito di N1 ieri è passato a miglior vita un suo anziano dipendente che aveva optato per un tour in kayak sulle rive della tranquilla Dettifoss; lo ha ritrovato un astronauta in pensione nella provincia di Hofn. 2 giorni dilutto nazionale.
Finalmente Keflavik! Ci appare sotto l’involucro dei suoi pesanti vetri quadrati, è il momento dell’addio a Sprengy parcheggiata alle departures, forse è un po’ più bassa di quando l’avevamo presa ma ciò che conta è che il manometro olio funzioni di nuovo.
Ci dimentichiamo per un attimo la sparpagliata periferia di Reykjavik, i suoi alberelli verdi e il transfer all’aeroporto ci lascia un silenzio irreale, fatto per i ricordi, le lunghe e accidentate distese di lava, i fiordi selvaggi spaccati dal vento, il caffè lungo del mattino, emozioni di 25 giorni tra l’inferno e il paradiso.
In questo terminal desolato, movimentato solo da frotte di turisti americani accompagnati quasi per mano da una squadra di hostess in divisa blu con i pantaloni che nel frattempo puliscono il pavimento, veniamo a conoscenza dell’entità dei danni riportati alla nostra Sprengy. La prima sassata arriva dal giorno in più poi la ciliegina ce la mette Magnus sul carter che abbiamo lasciato a Hraunhafnartangi, eh va bhè un inconveniente doveva pur esserci, no?
116 euro per sto carter ma noi voliamo liberi verso Londra. Sono le 21.30, la Belgrove, la nostra amata pensioncina di King’s Cross ci attende con la sua camera bella accogliente, stavolta un finale senza sleeping bag.
Usciamo, ci gettiamo nel vivace quartiere di King’s Cross e ci fiondiamo da “Casa Mamma” un simpatico ristorante italiano.
Il titolare è un napoletano riccioluto, un po’ tozzo. Dall’alto dei suoi pasciuti 45 anni sorride fiero a sua moglie e al figlio e liquida tutti con un italofono Dank you and ba-ba. E’ uno dei tanti italiani che qui ce l’hanno fatta, Londra, magnifica Londra!! che continua a sorprenderci anche di notte, nel pieno dei suoi locali trendy o al buio di uno scassato thai caffè. Ovunque c’è una pallida luce al neon quella è ancora Londra! Buonanotte allora nostra vecchia signora, domattina defloreremo il St. James, ci appoggeremo sulle nere ringhiere di Buckingam e poi ti abbandoneremo su un’anonimo treno per Stansted.
I miei 3 compagni di stanza stanno ancora dormendo quando faccio per andare giù in cucina, la stessa cazzo di cucina superaffolata di cereali, petardi, filo per cucire. Una cucina vissuta, oltraggiata, come quando ieri sera ci siamo rimessi in circolo con i 4 italiani di ritorno da Husalfell. Uno di loro, detto Skogar ha iniziato a mangiare alle 21.10 e ha finito alle 22.40 dopo che erano terminate le scorte di provolone gigante.
L’altro che chiameremo Drum, perché verso le 23 si intabacca di brutto mi ha sbagliato il più bello dei fiordi orientali che ha additato come Seidasfiordu. Nonostante gli sforzi fonetici e le tavole di algoritmi fra tutti e due non ne azzecavamo uno. Un ultimo simpatico saluto ai programmatori dalla barba di 8 giorni e alle loro rispettive ragazze che in totale hanno occupato la cucina per 6 ore, 48 minuti e 13 secondi.
Stamani ci accoglie la solita cazzo di nebbia, è una nebbia insistente, quasi bigger than life; l’unico punto dove non attecchisce sono le stazioni dell’N1.
A proposito di N1 ieri è passato a miglior vita un suo anziano dipendente che aveva optato per un tour in kayak sulle rive della tranquilla Dettifoss; lo ha ritrovato un astronauta in pensione nella provincia di Hofn. 2 giorni dilutto nazionale.
Finalmente Keflavik! Ci appare sotto l’involucro dei suoi pesanti vetri quadrati, è il momento dell’addio a Sprengy parcheggiata alle departures, forse è un po’ più bassa di quando l’avevamo presa ma ciò che conta è che il manometro olio funzioni di nuovo.
Ci dimentichiamo per un attimo la sparpagliata periferia di Reykjavik, i suoi alberelli verdi e il transfer all’aeroporto ci lascia un silenzio irreale, fatto per i ricordi, le lunghe e accidentate distese di lava, i fiordi selvaggi spaccati dal vento, il caffè lungo del mattino, emozioni di 25 giorni tra l’inferno e il paradiso.
In questo terminal desolato, movimentato solo da frotte di turisti americani accompagnati quasi per mano da una squadra di hostess in divisa blu con i pantaloni che nel frattempo puliscono il pavimento, veniamo a conoscenza dell’entità dei danni riportati alla nostra Sprengy. La prima sassata arriva dal giorno in più poi la ciliegina ce la mette Magnus sul carter che abbiamo lasciato a Hraunhafnartangi, eh va bhè un inconveniente doveva pur esserci, no?
116 euro per sto carter ma noi voliamo liberi verso Londra. Sono le 21.30, la Belgrove, la nostra amata pensioncina di King’s Cross ci attende con la sua camera bella accogliente, stavolta un finale senza sleeping bag.
Usciamo, ci gettiamo nel vivace quartiere di King’s Cross e ci fiondiamo da “Casa Mamma” un simpatico ristorante italiano.
Il titolare è un napoletano riccioluto, un po’ tozzo. Dall’alto dei suoi pasciuti 45 anni sorride fiero a sua moglie e al figlio e liquida tutti con un italofono Dank you and ba-ba. E’ uno dei tanti italiani che qui ce l’hanno fatta, Londra, magnifica Londra!! che continua a sorprenderci anche di notte, nel pieno dei suoi locali trendy o al buio di uno scassato thai caffè. Ovunque c’è una pallida luce al neon quella è ancora Londra! Buonanotte allora nostra vecchia signora, domattina defloreremo il St. James, ci appoggeremo sulle nere ringhiere di Buckingam e poi ti abbandoneremo su un’anonimo treno per Stansted.
30 agosto
Reykjavik km. 50120
Ieri sera dopo un lungo girovagare eccoci finalmente approdati nella brullicante capitale, e come esimersi da un giro in centro in notturna. Se non fosse per questa persistente pioggerellina che non serve a niente ma solo a rompere le scatole a noi ed ad altre centinaia di turisti che vorrebbero girovagare in pace. Beh…ci rifugiamo in libreria, mentre Sassoli si ferma a rimirare le centinaia di foto che ritraggono i paesaggi appena visitati, che risvegliano in lui mille ricordi dei momenti appena trascorsi, io mi cimento in un giro nei 4 piani di questa fornitissima libreria che ha dai libri usati, ai quaderni scolastici, alle guide, ai libri in islandese, poi ancora cd di musica tradizionale e non, libri tradotti in inglese e gli immancabili souvenirs. Rientriamo alla Salvation Army dove scopriamo in cucina che dei nostri compatrioti, che poi scopriamo essere di Torino.
Intavoliamo con loro una piacevole conversazione (visto che anche loro sono in dirittura di fine viaggio) sui posti che hanno e non hanno visto. Scopriamo che come noi sono stati fermati dal fiume di Porsmork, che loro sono stati più fortunati perché hanno trovato quasi sempre bello…ma noi in compenso abbiamo visto le pulcinelle di mare…1 a 1 palla al centro… Insomma un vivacissimo scambio di impressioni tanto vivace da scuscitare l’ira di un’altra nostra compatriota che ci dice di non fare casino che lei si deve alzare alle 4 …ma dove andrà alle 4 del mattino???
Ma la bellezza di quest’isola non ci frena e noi imperterriti continuiamo a chiaccherare, quando finalemente decidiamo di ritirarci eccola che ritorna…anche in islanda abbiamo preso la nostra cazziata! Ora che abbiamo fatto la nostra tutti a nanna
Stamane la situazione metereologica non cambia, continua sempre a piovere, imperterriti ci facciamo largo nella microscopica cucina sfrattando una coppia (presumibili madre e figlia) di Boston e un signore 60enne olandese. Consumiamo la nostra colazione decidendo l’itinerario di ggi…si va al Perlan…niente di che, si avrebbe una bella vista su Reykjavik se non ci fosse questa nebbiolina, decidiamo così di fare un salto al centro commerciale…ma alla fine ci ritroviamo a due passi dalla Hallgrimskirkja così è meglio andare alla guesthouse e consumare le nostre ultime provviste.
Come nella migliore delle guide, oggi pomeriggio libero per lo shopping: souvenir, lundi, magliette e oggettini vari. Appuntamento alle 17.15 per recuperare la macchina alla quale dobbiamo una meritata lavata generale dopo le immani fatiche di questi vissutissimi 25 giorni che ci rimaranno sempre nei nostri cuori, nelle nostre menti e sul suo contachilometri.
Ci concediamo un’oretta per sistemare le valigie e poi di nuovo on the road.
Stasera rischio il linciaggio visto che trascino Sassoli tra negozietti alla ricerca di una maglietta, al terzo tentativo eccomi accontentata e Sassoli sospira di sollievo.
Ultima tappa lo Svarta Caffi a degustare una squisitissima zuppa (Vegetable per me e SouthAmerica Meat per Sassoli) nel pane. E ora qui davanti ad una tazza fumante di thè ai frutti di bosco decidiamo l’ora per la nostra ultima sveglia in quel di Reykjavik e di questa meravigliosa e indimenticabile isola.
Ieri sera dopo un lungo girovagare eccoci finalmente approdati nella brullicante capitale, e come esimersi da un giro in centro in notturna. Se non fosse per questa persistente pioggerellina che non serve a niente ma solo a rompere le scatole a noi ed ad altre centinaia di turisti che vorrebbero girovagare in pace. Beh…ci rifugiamo in libreria, mentre Sassoli si ferma a rimirare le centinaia di foto che ritraggono i paesaggi appena visitati, che risvegliano in lui mille ricordi dei momenti appena trascorsi, io mi cimento in un giro nei 4 piani di questa fornitissima libreria che ha dai libri usati, ai quaderni scolastici, alle guide, ai libri in islandese, poi ancora cd di musica tradizionale e non, libri tradotti in inglese e gli immancabili souvenirs. Rientriamo alla Salvation Army dove scopriamo in cucina che dei nostri compatrioti, che poi scopriamo essere di Torino.
Intavoliamo con loro una piacevole conversazione (visto che anche loro sono in dirittura di fine viaggio) sui posti che hanno e non hanno visto. Scopriamo che come noi sono stati fermati dal fiume di Porsmork, che loro sono stati più fortunati perché hanno trovato quasi sempre bello…ma noi in compenso abbiamo visto le pulcinelle di mare…1 a 1 palla al centro… Insomma un vivacissimo scambio di impressioni tanto vivace da scuscitare l’ira di un’altra nostra compatriota che ci dice di non fare casino che lei si deve alzare alle 4 …ma dove andrà alle 4 del mattino???
Ma la bellezza di quest’isola non ci frena e noi imperterriti continuiamo a chiaccherare, quando finalemente decidiamo di ritirarci eccola che ritorna…anche in islanda abbiamo preso la nostra cazziata! Ora che abbiamo fatto la nostra tutti a nanna
Stamane la situazione metereologica non cambia, continua sempre a piovere, imperterriti ci facciamo largo nella microscopica cucina sfrattando una coppia (presumibili madre e figlia) di Boston e un signore 60enne olandese. Consumiamo la nostra colazione decidendo l’itinerario di ggi…si va al Perlan…niente di che, si avrebbe una bella vista su Reykjavik se non ci fosse questa nebbiolina, decidiamo così di fare un salto al centro commerciale…ma alla fine ci ritroviamo a due passi dalla Hallgrimskirkja così è meglio andare alla guesthouse e consumare le nostre ultime provviste.
Come nella migliore delle guide, oggi pomeriggio libero per lo shopping: souvenir, lundi, magliette e oggettini vari. Appuntamento alle 17.15 per recuperare la macchina alla quale dobbiamo una meritata lavata generale dopo le immani fatiche di questi vissutissimi 25 giorni che ci rimaranno sempre nei nostri cuori, nelle nostre menti e sul suo contachilometri.
Ci concediamo un’oretta per sistemare le valigie e poi di nuovo on the road.
Stasera rischio il linciaggio visto che trascino Sassoli tra negozietti alla ricerca di una maglietta, al terzo tentativo eccomi accontentata e Sassoli sospira di sollievo.
Ultima tappa lo Svarta Caffi a degustare una squisitissima zuppa (Vegetable per me e SouthAmerica Meat per Sassoli) nel pane. E ora qui davanti ad una tazza fumante di thè ai frutti di bosco decidiamo l’ora per la nostra ultima sveglia in quel di Reykjavik e di questa meravigliosa e indimenticabile isola.
29 agosto
Vik km. 49750-Reykjavik km. 50120
Siamo ormai talmente abituati a toglierci le scarpe che dovremo far attenzione al ritorno; c’è il rischio di entrare nell’antisala del dentista e togliersele, in una car wash e togliersele, oppure andare dal dottore e chiedergli se ha camere per sacco a pelo.
Insomma questi automatismi, piacevoli o meno sono ormai entrati di diritto nel nostro inconscio; è possibile che in piena notte mi alzi in cerca di una pompa di benzina o che mi metta a pagare una scatola di assorbenti con la scheda dell’N1.
Di ostelli ne abbiamo visti tanti, tanti da provare un minimo di tenerezza stasera stipati qui a Reykjavik, nella guesthouse dell’esercito della salvezza, con i suoi 4/5 piani fitti di camere a cui si accede dopo strette e infinite scale in legno. C’è odore di moquette nelle stanze, un piccolo lavandino presente in quasi tutte le sistemazioni a basso costo che non ho mai capito a cosa serva. Troppo piccolo persino per la barba, probabile è l’ideale per tuffarci gli omini del lego e valutare i principi di galleggiamento.
E’ proprio il tipo di posto da interrail o da erasmus squattrinati che fa rimpiangere non aver studiato lingue con 5 anni fuori corso.
Arrivati fin qui da un tour piuttosto anonimo se si eccettua il ristorante di Stokkseyri foriero di un’ottima zuppa d’aragosta, siamo pressochè agli sgoccioli. Io ho l’aria ben trasandata, barba di 15 giorni, capello stile monaco capetingio e calze a rete. In fondo ricordo ai miei lettori che in questa vacanza ho perso tutto, ragazza, lavoro, stima di mia madre quando tornerò. Mi piace immaginare che la mia barba racconti la crescita dei pensieri, l’accumulo di idee, e adoro travestirmi da clochard in fuga. Una fuga dritta, senza confini, in questa terra di lunghissimi rettilinei selvaggi, mari tempestosi che scuotono le finestre, piccoli paesini illuminati solo dalla luce del porto.
Dove c’è l’N1 c’è speranza! Ha detto oggi il presidente alla tv ed ha ragione di brutto. Spendiamo le ultime 5000 corone in benza presso Hverageroi, che si piazza al 233 posto come paese più brutto visto sinora. Al 234 c’è Sellfoss dotato di uno zuccherificio aperto al pubblico con degustazione gratuita delle barbabietole. Al 235 possiamo tranquillamente inserire “porca paletta”, o meglio Porlakshofn; per arrivare al centro è meglio che facciate un buco in terra come fece Verne perché altrove non ve n’è. 236 posto se lo aggiudica la pioggia di Reykjavik, piove sempre in questa cazzo di metropoli; ce ne accorgiamo dall’odore del formaggio che qui sa più di caffeina.
83 minuiti per concludere la tangenziale ed arriviamo a Reykjavik C, che sarebbe la BSI e l’aeroporto. Quasi commossi rimettiamo gli occhi sulle panchine dove abbiamo dormito la notte del 6 agosto. Nulla è cambiato, sullo scaffale del piccolo bistrot c’è ancora lo stesso panino del 6 agosto.
Che bello essere di nuovo qui! Direbbero gli intimisti francesi. Affacciarsi al primo supermarket e squadrare la cassiera, una pittoresca signora 70enne per poi scendere lenti verso la city, sorprendersi di fronte alle luci appena accese che sfavillano sull’asfalto bagnato.
Cenare, dimenticarsi che giorno sia, aspettare la notte con una Guinness in mano, tutto questo è Reykjavik.
Siamo ormai talmente abituati a toglierci le scarpe che dovremo far attenzione al ritorno; c’è il rischio di entrare nell’antisala del dentista e togliersele, in una car wash e togliersele, oppure andare dal dottore e chiedergli se ha camere per sacco a pelo.
Insomma questi automatismi, piacevoli o meno sono ormai entrati di diritto nel nostro inconscio; è possibile che in piena notte mi alzi in cerca di una pompa di benzina o che mi metta a pagare una scatola di assorbenti con la scheda dell’N1.
Di ostelli ne abbiamo visti tanti, tanti da provare un minimo di tenerezza stasera stipati qui a Reykjavik, nella guesthouse dell’esercito della salvezza, con i suoi 4/5 piani fitti di camere a cui si accede dopo strette e infinite scale in legno. C’è odore di moquette nelle stanze, un piccolo lavandino presente in quasi tutte le sistemazioni a basso costo che non ho mai capito a cosa serva. Troppo piccolo persino per la barba, probabile è l’ideale per tuffarci gli omini del lego e valutare i principi di galleggiamento.
E’ proprio il tipo di posto da interrail o da erasmus squattrinati che fa rimpiangere non aver studiato lingue con 5 anni fuori corso.
Arrivati fin qui da un tour piuttosto anonimo se si eccettua il ristorante di Stokkseyri foriero di un’ottima zuppa d’aragosta, siamo pressochè agli sgoccioli. Io ho l’aria ben trasandata, barba di 15 giorni, capello stile monaco capetingio e calze a rete. In fondo ricordo ai miei lettori che in questa vacanza ho perso tutto, ragazza, lavoro, stima di mia madre quando tornerò. Mi piace immaginare che la mia barba racconti la crescita dei pensieri, l’accumulo di idee, e adoro travestirmi da clochard in fuga. Una fuga dritta, senza confini, in questa terra di lunghissimi rettilinei selvaggi, mari tempestosi che scuotono le finestre, piccoli paesini illuminati solo dalla luce del porto.
Dove c’è l’N1 c’è speranza! Ha detto oggi il presidente alla tv ed ha ragione di brutto. Spendiamo le ultime 5000 corone in benza presso Hverageroi, che si piazza al 233 posto come paese più brutto visto sinora. Al 234 c’è Sellfoss dotato di uno zuccherificio aperto al pubblico con degustazione gratuita delle barbabietole. Al 235 possiamo tranquillamente inserire “porca paletta”, o meglio Porlakshofn; per arrivare al centro è meglio che facciate un buco in terra come fece Verne perché altrove non ve n’è. 236 posto se lo aggiudica la pioggia di Reykjavik, piove sempre in questa cazzo di metropoli; ce ne accorgiamo dall’odore del formaggio che qui sa più di caffeina.
83 minuiti per concludere la tangenziale ed arriviamo a Reykjavik C, che sarebbe la BSI e l’aeroporto. Quasi commossi rimettiamo gli occhi sulle panchine dove abbiamo dormito la notte del 6 agosto. Nulla è cambiato, sullo scaffale del piccolo bistrot c’è ancora lo stesso panino del 6 agosto.
Che bello essere di nuovo qui! Direbbero gli intimisti francesi. Affacciarsi al primo supermarket e squadrare la cassiera, una pittoresca signora 70enne per poi scendere lenti verso la city, sorprendersi di fronte alle luci appena accese che sfavillano sull’asfalto bagnato.
Cenare, dimenticarsi che giorno sia, aspettare la notte con una Guinness in mano, tutto questo è Reykjavik.
28 agosto
Berunes km. 49338-Vik km. 49750
Stamattina neanche il piacere di gustarci il latte appena munto dal fattore, perchè in stalla c’erano solo le mucche!!!
Rifacciamo i sacchi a pelo e via per un’altra giornata dopo qualche km. finalmente Sassoli abbandona il posto di guida, ancora un po’ titubante mi lascia le chiavi. Salgo, qualche piccolo scossone tanto per prendere piede con la frizione e si riparte. Sostiamo ad Hofn per il solito rifornimento di carburante e poi via. Ad accompagnarci in questa giornata è il Vatnajokull che con le sue lingue gelate segna il passare dei km. Pranziamo come è ormai consuetudine su una panchina al sole, come delle lucertole che si crogiolano.
Quest’oggi a farci compagnia un omino 60enne che sta costruendo con delle travi di legno quello che potrebbe essere una staccionata, come pure un cartello…insomma qualcosa di indefinito. Consumato il lauto pasto lasciamo il vecchietto alle sue occupazioni e noi riprendiamo la marcia. Passiamo davanti alla magica Jokulsarlon, gettando un’occhiata agli iceberg finalmente liberi che si spostano verso il mare aperto. Superiamo anche Skaftafell, poi visto che sono ancora io al volante e Sassoli si è assopito opto una piccola deviazione ad un gruppo di “varda” (che sono quei famosi ammasi di sassi che una volta venivano usati per delimitare i sentieri) per scoprire che sono li in ricordo di una casa che è stata distrutta da un’eruzione vulcanica e sulla quale i viaggiatori ponevano un sasso per ingraziarsi la sorte di un buon viaggio, logicamente anch’io pongo il mio.
Si prosegue per Vik, e qui nascono i problemi perché decidiamo di proseguire per una di quelle strade che ci aveva indicato Elizabeth, logicamente la strada è sassosa ed in salita, e qui mi incontro con un’altra macchina…e da li non riesco più a ripartire…sassoli riprende le redini del mezzo e si prosegue fino ad arrivare ad una vallata completamente verde sulle montagne nere e ad osservarci da lontano il Myrdaljokull, dovremmo essere nei pressi di Maelifell.
Comincia a piovere, decidiamo quindi di fermarci a Vik, l’ostello è pieno…mannaggia…troviamo uan guesthouse diretta da una signora 45enne dall’aspetto molto severo che non accetta la mia carta di credito ma solo contanti. Come? In un paese in cui la carta di credito viene usata anche per pagare il caffè al bar??
Alle 17.30, mentre fuori continua a piovere prendiamo possesso della camera n. 5 “Dyrholaey”.
Un annoiato Sassoli si cimenta con i giochini del cellulare. Io intanto mi appresto ad invadere la linda ed immacolata cucina, quando la dottoressa Rottelmaier mi dice che devo usre quella di sotto…ma proprio sotto in scantinato, e va beh dopo l’ostello bunker non ci meravigliamo più di nulla.
Consumiamo il nostro riso in religioso silenzio interotto solo dal bip bip del cellulare di Sassoli che sta continuando a giocare a golf. Intanto un’altra coppia, di cui non capiamo la dinamica: lesbiche, amiche, parenti, vieni a prepararsi la cena. Sono olandesi le signore e cenano con un vino spagnolo; che strano assortimento…
Stamattina neanche il piacere di gustarci il latte appena munto dal fattore, perchè in stalla c’erano solo le mucche!!!
Rifacciamo i sacchi a pelo e via per un’altra giornata dopo qualche km. finalmente Sassoli abbandona il posto di guida, ancora un po’ titubante mi lascia le chiavi. Salgo, qualche piccolo scossone tanto per prendere piede con la frizione e si riparte. Sostiamo ad Hofn per il solito rifornimento di carburante e poi via. Ad accompagnarci in questa giornata è il Vatnajokull che con le sue lingue gelate segna il passare dei km. Pranziamo come è ormai consuetudine su una panchina al sole, come delle lucertole che si crogiolano.
Quest’oggi a farci compagnia un omino 60enne che sta costruendo con delle travi di legno quello che potrebbe essere una staccionata, come pure un cartello…insomma qualcosa di indefinito. Consumato il lauto pasto lasciamo il vecchietto alle sue occupazioni e noi riprendiamo la marcia. Passiamo davanti alla magica Jokulsarlon, gettando un’occhiata agli iceberg finalmente liberi che si spostano verso il mare aperto. Superiamo anche Skaftafell, poi visto che sono ancora io al volante e Sassoli si è assopito opto una piccola deviazione ad un gruppo di “varda” (che sono quei famosi ammasi di sassi che una volta venivano usati per delimitare i sentieri) per scoprire che sono li in ricordo di una casa che è stata distrutta da un’eruzione vulcanica e sulla quale i viaggiatori ponevano un sasso per ingraziarsi la sorte di un buon viaggio, logicamente anch’io pongo il mio.
Si prosegue per Vik, e qui nascono i problemi perché decidiamo di proseguire per una di quelle strade che ci aveva indicato Elizabeth, logicamente la strada è sassosa ed in salita, e qui mi incontro con un’altra macchina…e da li non riesco più a ripartire…sassoli riprende le redini del mezzo e si prosegue fino ad arrivare ad una vallata completamente verde sulle montagne nere e ad osservarci da lontano il Myrdaljokull, dovremmo essere nei pressi di Maelifell.
Comincia a piovere, decidiamo quindi di fermarci a Vik, l’ostello è pieno…mannaggia…troviamo uan guesthouse diretta da una signora 45enne dall’aspetto molto severo che non accetta la mia carta di credito ma solo contanti. Come? In un paese in cui la carta di credito viene usata anche per pagare il caffè al bar??
Alle 17.30, mentre fuori continua a piovere prendiamo possesso della camera n. 5 “Dyrholaey”.
Un annoiato Sassoli si cimenta con i giochini del cellulare. Io intanto mi appresto ad invadere la linda ed immacolata cucina, quando la dottoressa Rottelmaier mi dice che devo usre quella di sotto…ma proprio sotto in scantinato, e va beh dopo l’ostello bunker non ci meravigliamo più di nulla.
Consumiamo il nostro riso in religioso silenzio interotto solo dal bip bip del cellulare di Sassoli che sta continuando a giocare a golf. Intanto un’altra coppia, di cui non capiamo la dinamica: lesbiche, amiche, parenti, vieni a prepararsi la cena. Sono olandesi le signore e cenano con un vino spagnolo; che strano assortimento…
27 agosto
Borgarfjordur Eystri km. 49159-Berunes km. 49338
Ed è stato proprio per colpa di quel maledetto caffè, che stanotte si è fatta in bianco. Ad un’ora imprecisata della notte Sassoli s’alza per andare in bagno e torna tutto raggiante, c’è un’alba rosso-arancione che infiamma l’oceano, scattano le foto, poi si torna a letto tentando di chiamare il sonno mancato, ancora qualche chiacchera ma nulla. Verso le 5.30 scatta l’ultimatum o si dorme o si dorme, Sassoli non se lo fa ripetere tempo 2 nanosecondi ed è già nel mondo dei sogni.
Quando, finalmente, il sole è alto, ancora mezzi addormentati decidiamo che è il caso di alzarsi. Sassoli vuole il latte non ne può più di caffè, allora mentre lui cerca di darsi una svegliata sotto la doccia io mo accingo a recarmi al verslun ma dal 17 agosto sono cambiati gli orari: aprono alle 12.30… ma questa gente a che ora mangia?? Ci arrangiamo con quello che abbiamo e ci si prepara per una nuova mattinata.
Raggiungiamo Egilsstadir per rifornimenti vari: benzina, pane e per scaricare le foto, ma il mio nonnino è già andato a pranzo ci toccherà aspettare facendo altre cose.
Quando tutto è apposto ci dirigiamo verso la foresta d’Islanda “Hallormsstadur”. Finalmente fa caldo e in una piazzola di sosta ci concediamo il pranzo seduti su un tavolino all’ombra degli alberi e a crogiolarsi con il sole che filtra tra i rami. Una sosta è d’obbligo (come dice la lonely) all’albero più vecchio d’Islanda, piantato nel 1938 è alto 20 mt. ma è pur sempre un albero come gli altri!!!
Va bhè…concentriamo le nostre attenzioni su Hrngifoss la 3 cascata per altezza. Il sentiero si inerpica sul margine di una gola all’inizio tutto in salita ma poi diventa pianeggiante. Prima incontriamo Litlanefoss, circondata da colonne di basalto (questa si che è una cascata, non la scialba Svartifoss). Proseguiamo per un altro po’ quando finalmente si vede tutta Hengifoss nei suoi 120 my d’altezza, cade da una parete in cui si alternano starti di roccia scura ad altri di roccia di un rosso intenso. E’ stata proprio una bella passeggiata. Per rinfocillare le nostre stanche membra decidiamo di fare tappa a Breiddalvik dalla Margret, e ci gustiamo una squisita torta di mele e un’altrettanto squisito milkshake. Sassoli è distrutto, la notte insonne si fa sentire, decidiamo quindi di mollare gli ormeggi a Berunes, in un ostello a metà strada tra Breiddalsvik e Djupivogur.Qui una ragazza tedesca ci indica prima una stanza ma poi cambia idea e ci sposta in un altro stabile dove possiamo addirittura sceglierne una tra due (che lusso!). La cucina e’ già affolata ma a noi per il momento basta la torta di mele magari tra un’oretta andremo a farci spazio.
Ed è stato proprio per colpa di quel maledetto caffè, che stanotte si è fatta in bianco. Ad un’ora imprecisata della notte Sassoli s’alza per andare in bagno e torna tutto raggiante, c’è un’alba rosso-arancione che infiamma l’oceano, scattano le foto, poi si torna a letto tentando di chiamare il sonno mancato, ancora qualche chiacchera ma nulla. Verso le 5.30 scatta l’ultimatum o si dorme o si dorme, Sassoli non se lo fa ripetere tempo 2 nanosecondi ed è già nel mondo dei sogni.
Quando, finalmente, il sole è alto, ancora mezzi addormentati decidiamo che è il caso di alzarsi. Sassoli vuole il latte non ne può più di caffè, allora mentre lui cerca di darsi una svegliata sotto la doccia io mo accingo a recarmi al verslun ma dal 17 agosto sono cambiati gli orari: aprono alle 12.30… ma questa gente a che ora mangia?? Ci arrangiamo con quello che abbiamo e ci si prepara per una nuova mattinata.
Raggiungiamo Egilsstadir per rifornimenti vari: benzina, pane e per scaricare le foto, ma il mio nonnino è già andato a pranzo ci toccherà aspettare facendo altre cose.
Quando tutto è apposto ci dirigiamo verso la foresta d’Islanda “Hallormsstadur”. Finalmente fa caldo e in una piazzola di sosta ci concediamo il pranzo seduti su un tavolino all’ombra degli alberi e a crogiolarsi con il sole che filtra tra i rami. Una sosta è d’obbligo (come dice la lonely) all’albero più vecchio d’Islanda, piantato nel 1938 è alto 20 mt. ma è pur sempre un albero come gli altri!!!
Va bhè…concentriamo le nostre attenzioni su Hrngifoss la 3 cascata per altezza. Il sentiero si inerpica sul margine di una gola all’inizio tutto in salita ma poi diventa pianeggiante. Prima incontriamo Litlanefoss, circondata da colonne di basalto (questa si che è una cascata, non la scialba Svartifoss). Proseguiamo per un altro po’ quando finalmente si vede tutta Hengifoss nei suoi 120 my d’altezza, cade da una parete in cui si alternano starti di roccia scura ad altri di roccia di un rosso intenso. E’ stata proprio una bella passeggiata. Per rinfocillare le nostre stanche membra decidiamo di fare tappa a Breiddalvik dalla Margret, e ci gustiamo una squisita torta di mele e un’altrettanto squisito milkshake. Sassoli è distrutto, la notte insonne si fa sentire, decidiamo quindi di mollare gli ormeggi a Berunes, in un ostello a metà strada tra Breiddalsvik e Djupivogur.Qui una ragazza tedesca ci indica prima una stanza ma poi cambia idea e ci sposta in un altro stabile dove possiamo addirittura sceglierne una tra due (che lusso!). La cucina e’ già affolata ma a noi per il momento basta la torta di mele magari tra un’oretta andremo a farci spazio.
26 agosto
Kopasker km- 48805-Borgarfjordur Eystri km. 49159
Un ultimo sguardo alla cdteca di questo pazzo scatenato rivela piccole perle, a parte l’opera omnia di Brahms, tutti gli adagi di Albinoni, e pensare che lui ne aveva composto solo uno, ci sono, a guardare bene anche i testicoli di Beethoven, disseppelliti dal vasetto in cristallo. Qui siamo di fronte ad un collezionista ragazzi! Basta notare la macchina che ha, una vecchia Subaru 1.8 station wagon supersmarmittata; o i quadri ale pareti: in uno c’è una ragazza completamente nuda con il suo bel “pratino” verde in evidenza, in un altro c’è tutta la generazione di lavandaie del paese dal 1708 ad oggi, sono almeno 6 in tutto.
In questo paese sono tutti pazzi, scappiamo, incontrando Raurarhofn dall’aspetto un po’ squallido, poi Porshofn dove miracolosamente facciamo benzina.
Il caffè, qui a Porshofn, viene servito ad una temperatura tipo Krafla e i fragili bicchierini di plastica stentano ad isolarne il bollore. Di fronte a noi ci sono 2 giovani mamme, probabili ragazze madri, come molte altre islandesi del resto.
Continuiamo addentrandoci nella penisola di Langanes costellata di piccoli stagni immersi nella brughiera e le farm abbandonate, poi diritto verso Vopnafjordur che neanche mi ricordo se non fosse per la bella cascata “Nedrifoss” che cala a picco sul mare quasi.
Inizia una strada altamente spettacolare, con salite del 15% tutte tornanti e rocce multicolore alla cui sommità si apre lo scenografico delta di sabbia nera “Heradsfloi”.
Pian paino si arriva a Borgarfjordur, nostro amato avamposto cui torniamo dopo 13 gg., stavolta non c’è il tedesco e non c’è neanche il pane per mangiare. A dirla tutta non c’è neanche Johanna, che è la signora del ristorante a cui chiedere per la notte; finisce che la chiamo, la incontriamo è tutta contenta, ci dice che avremo la casa tutta per noi.
Eccola lì la nostra Asbyrgi, quadrata e sbiadita come me la ricordavo, timidamente affacciata sul mare, le tende ora arrossate di un intenso tramonto che ascolta le nostre chiachere, fitte, intense come certe nebbie che lente si diradano.Sono quasi le 21 e siamo qui che beviamo caffè da 2 ore, un caffè lunghissimo e insapore, la Calle lo ha fatto con i fazzolettini di carta!
Un ultimo sguardo alla cdteca di questo pazzo scatenato rivela piccole perle, a parte l’opera omnia di Brahms, tutti gli adagi di Albinoni, e pensare che lui ne aveva composto solo uno, ci sono, a guardare bene anche i testicoli di Beethoven, disseppelliti dal vasetto in cristallo. Qui siamo di fronte ad un collezionista ragazzi! Basta notare la macchina che ha, una vecchia Subaru 1.8 station wagon supersmarmittata; o i quadri ale pareti: in uno c’è una ragazza completamente nuda con il suo bel “pratino” verde in evidenza, in un altro c’è tutta la generazione di lavandaie del paese dal 1708 ad oggi, sono almeno 6 in tutto.
In questo paese sono tutti pazzi, scappiamo, incontrando Raurarhofn dall’aspetto un po’ squallido, poi Porshofn dove miracolosamente facciamo benzina.
Il caffè, qui a Porshofn, viene servito ad una temperatura tipo Krafla e i fragili bicchierini di plastica stentano ad isolarne il bollore. Di fronte a noi ci sono 2 giovani mamme, probabili ragazze madri, come molte altre islandesi del resto.
Continuiamo addentrandoci nella penisola di Langanes costellata di piccoli stagni immersi nella brughiera e le farm abbandonate, poi diritto verso Vopnafjordur che neanche mi ricordo se non fosse per la bella cascata “Nedrifoss” che cala a picco sul mare quasi.
Inizia una strada altamente spettacolare, con salite del 15% tutte tornanti e rocce multicolore alla cui sommità si apre lo scenografico delta di sabbia nera “Heradsfloi”.
Pian paino si arriva a Borgarfjordur, nostro amato avamposto cui torniamo dopo 13 gg., stavolta non c’è il tedesco e non c’è neanche il pane per mangiare. A dirla tutta non c’è neanche Johanna, che è la signora del ristorante a cui chiedere per la notte; finisce che la chiamo, la incontriamo è tutta contenta, ci dice che avremo la casa tutta per noi.
Eccola lì la nostra Asbyrgi, quadrata e sbiadita come me la ricordavo, timidamente affacciata sul mare, le tende ora arrossate di un intenso tramonto che ascolta le nostre chiachere, fitte, intense come certe nebbie che lente si diradano.Sono quasi le 21 e siamo qui che beviamo caffè da 2 ore, un caffè lunghissimo e insapore, la Calle lo ha fatto con i fazzolettini di carta!
25 agosto
Dalvik km. 48440-Kopasker km. 48805
Da annotare che ieri sera mentre preparavamo il nostro solito piatto di riso, questa volta al sugo, ci intrattiene un tipo islandese che dice di lavorare per una compagnia che mette giù le tubazioni per l’energia geotermica. Ci fa anche vedere le previsioni sul giornale, spiegandoci i giorni, le temperature ecc… Poi Sassoli e ….(un nome impronunciabile) chiamiamolo Mister x si intrattengono in una conversazione della quale scoprirò, dopo mezz’ora, che Sassoli non ha capito un’acca; poi mister x ci abbandona soddisfatto.
Si pone ora un altro problema, l’altro giorno stanca di mangiare bacon e prosciutto ho comprato una scatoletta di tonno, alla quale, mi sono accorta solo dopo, manca la linguetta per aprire… beh stasera è la fatidica sera in cui si deve aprire…dopo varie imprecazioni e vari tentativi Sassoli è riuscito ad aprirla. Per concludere il racconto della serata, mentre sorseggiavamo il nostro the ( sempre offerto dell’hotel Soley) ci arriva in cucina un tipo un po’ strambo in camicia di flanella a scacchi blue e bianca, jeans sdruciti, barba incolta di qualche giorno, aria simil ubriaca e ovviamente con una Viking in mano, il pc sotto braccio…si collega alla presa e comincia a parlottare tra sé, apre messenger e ridacchia da solo. Bella compagnia no?
La nostra colazione invece, è allietata da Elizabeth, una signora 50enne, insegnante di geologia e guida turistica, islandese. Molto conviviale ci ha chiesto cosa avevamo visto e poi sfoggiando le sue doti turistiche ci ha consigliato 2/3 posti poco turistici da vedere. Ci ha spiegato un po’ di geologia soprattutto sul Lakagigar e le sue eruzioni vulcaniche, sull’influenza che ha avuto (si dice) sulla rivoluzione francese, ed altre particolarità, insomma un piacevole inizio per questa giornata che si annuncia piovosa.
"Today is a rainy saturday and tomorrow God will stop to cry" diceva il buon vecchio Beckett, e ne aveva ragione, oggi piove pure ad Husavik e le balene sono incazzate nere, non possono prendere il sole ne farsi fotografare a suon di reflex.
Per fortuna c’è un ristorante carino dove assaggio i puffin al forno e un ottimo tris di pesce. Carino pure il conto 5200 corone compresa la torta di mele e l’ottava zuppa di pesce per la Callegaro; per vedere a fondo il suo intestino tenue ci vorrebbe Jacques Cousteau!
Procediamo verso Kopasker lungo la costa che si abbassa in dolci pendii verdognoli, mi chiama mia madre è disperata, ha perso le lenti a contatto della gatta Irina che pare sia pure diventata idrofoba, non si accovaccia più neanche per Alda D’eusanio, eh magari fosse la gatta Irina,…sono altre le cose un decibel più fastidiose.
La fine dell’Islanda si avvicina, l’abitato di Kopasker sembra preannunciarla raccolto com’è in un fazzoletto di 16 villette a schiera dai colori sempre più tenui. Ci sono due adolescenti col rossetto messo male, la pelle sbiancata dal freddo, camminano tra le sgangherate fabbriche vicino al porto con le mani in tasca, di ritorno dalla passeggiata.
Torniamo all’ostello, molto elegante, con imbottiture rosso porpora sado-maso sulle porte. Il proprietario è un timidone intorno ai 50, alto, magro, faccia scavata, alla parete una schiera clamorosa di cd e un’innata gentilezza.
Ore 4.47.13 secondi, direzione ambarabaccicicocco, o meglio la località più a nord dell’Islanda che poi la Callegaro specificherà. Un faro bianco, il mare impetuoso e dietro i sassi quasi a contenere lo stesso mare una luce azzurrognola invade la prateria, apre i nostri sguardi all’infinito, o forse più semplicemente al Circolo Polare Artico distante solo 2 km.
Si riparte, io spacco tutto quello che potevo spaccare del carter protettivo, si va in cerca di un meccanico, è al N1 lo troviamo: le grandi porte dell’hangar sono chiuse, ne apro una più piccola, entro dentro, c’è la radio accesa ad alto volume che da i Doors, più vado avanti e più ho la sensazione di trovarmi di fronte una gallina sgozzata; ci sono gli arnesi più impressionanti, catene di molotov, sparasassi, cinghie dentate, tute insanguinate, in fondo poi c’è l’escavatore, forse serve per seppellire i cadaveri oltre il fosso. Comunque Hannibal Lecter non è in officina, dev’essere andato a giocare a poker al casinò di Asbyrgi.
Ritorniamo all’ostello, io vado a scattare le mie foto surreali, cantieri perquisiti dai Nas, camion senza cabina, donne senza volto, insomma tutto ciò che faccia colore. La cena è pantagruelica, salmone, pesto, pancetta, pescegatto e pescecane… Tra l’altro va rimarcato che sto mangiando esageratamente, sono ricercato da una celebre bakery di Reykjavik a cui ho sottratto 6 focacce con le mele, veramente indecoroso!
Per la conservazione del salmone chiedete alla mia collega veneta, stasera ha rinvoltato quella povera bestiola nei vecchi sottosale dei calzini. Ditemi voi se questa è vita!
Da annotare che ieri sera mentre preparavamo il nostro solito piatto di riso, questa volta al sugo, ci intrattiene un tipo islandese che dice di lavorare per una compagnia che mette giù le tubazioni per l’energia geotermica. Ci fa anche vedere le previsioni sul giornale, spiegandoci i giorni, le temperature ecc… Poi Sassoli e ….(un nome impronunciabile) chiamiamolo Mister x si intrattengono in una conversazione della quale scoprirò, dopo mezz’ora, che Sassoli non ha capito un’acca; poi mister x ci abbandona soddisfatto.
Si pone ora un altro problema, l’altro giorno stanca di mangiare bacon e prosciutto ho comprato una scatoletta di tonno, alla quale, mi sono accorta solo dopo, manca la linguetta per aprire… beh stasera è la fatidica sera in cui si deve aprire…dopo varie imprecazioni e vari tentativi Sassoli è riuscito ad aprirla. Per concludere il racconto della serata, mentre sorseggiavamo il nostro the ( sempre offerto dell’hotel Soley) ci arriva in cucina un tipo un po’ strambo in camicia di flanella a scacchi blue e bianca, jeans sdruciti, barba incolta di qualche giorno, aria simil ubriaca e ovviamente con una Viking in mano, il pc sotto braccio…si collega alla presa e comincia a parlottare tra sé, apre messenger e ridacchia da solo. Bella compagnia no?
La nostra colazione invece, è allietata da Elizabeth, una signora 50enne, insegnante di geologia e guida turistica, islandese. Molto conviviale ci ha chiesto cosa avevamo visto e poi sfoggiando le sue doti turistiche ci ha consigliato 2/3 posti poco turistici da vedere. Ci ha spiegato un po’ di geologia soprattutto sul Lakagigar e le sue eruzioni vulcaniche, sull’influenza che ha avuto (si dice) sulla rivoluzione francese, ed altre particolarità, insomma un piacevole inizio per questa giornata che si annuncia piovosa.
"Today is a rainy saturday and tomorrow God will stop to cry" diceva il buon vecchio Beckett, e ne aveva ragione, oggi piove pure ad Husavik e le balene sono incazzate nere, non possono prendere il sole ne farsi fotografare a suon di reflex.
Per fortuna c’è un ristorante carino dove assaggio i puffin al forno e un ottimo tris di pesce. Carino pure il conto 5200 corone compresa la torta di mele e l’ottava zuppa di pesce per la Callegaro; per vedere a fondo il suo intestino tenue ci vorrebbe Jacques Cousteau!
Procediamo verso Kopasker lungo la costa che si abbassa in dolci pendii verdognoli, mi chiama mia madre è disperata, ha perso le lenti a contatto della gatta Irina che pare sia pure diventata idrofoba, non si accovaccia più neanche per Alda D’eusanio, eh magari fosse la gatta Irina,…sono altre le cose un decibel più fastidiose.
La fine dell’Islanda si avvicina, l’abitato di Kopasker sembra preannunciarla raccolto com’è in un fazzoletto di 16 villette a schiera dai colori sempre più tenui. Ci sono due adolescenti col rossetto messo male, la pelle sbiancata dal freddo, camminano tra le sgangherate fabbriche vicino al porto con le mani in tasca, di ritorno dalla passeggiata.
Torniamo all’ostello, molto elegante, con imbottiture rosso porpora sado-maso sulle porte. Il proprietario è un timidone intorno ai 50, alto, magro, faccia scavata, alla parete una schiera clamorosa di cd e un’innata gentilezza.
Ore 4.47.13 secondi, direzione ambarabaccicicocco, o meglio la località più a nord dell’Islanda che poi la Callegaro specificherà. Un faro bianco, il mare impetuoso e dietro i sassi quasi a contenere lo stesso mare una luce azzurrognola invade la prateria, apre i nostri sguardi all’infinito, o forse più semplicemente al Circolo Polare Artico distante solo 2 km.
Si riparte, io spacco tutto quello che potevo spaccare del carter protettivo, si va in cerca di un meccanico, è al N1 lo troviamo: le grandi porte dell’hangar sono chiuse, ne apro una più piccola, entro dentro, c’è la radio accesa ad alto volume che da i Doors, più vado avanti e più ho la sensazione di trovarmi di fronte una gallina sgozzata; ci sono gli arnesi più impressionanti, catene di molotov, sparasassi, cinghie dentate, tute insanguinate, in fondo poi c’è l’escavatore, forse serve per seppellire i cadaveri oltre il fosso. Comunque Hannibal Lecter non è in officina, dev’essere andato a giocare a poker al casinò di Asbyrgi.
Ritorniamo all’ostello, io vado a scattare le mie foto surreali, cantieri perquisiti dai Nas, camion senza cabina, donne senza volto, insomma tutto ciò che faccia colore. La cena è pantagruelica, salmone, pesto, pancetta, pescegatto e pescecane… Tra l’altro va rimarcato che sto mangiando esageratamente, sono ricercato da una celebre bakery di Reykjavik a cui ho sottratto 6 focacce con le mele, veramente indecoroso!
Per la conservazione del salmone chiedete alla mia collega veneta, stasera ha rinvoltato quella povera bestiola nei vecchi sottosale dei calzini. Ditemi voi se questa è vita!
24 agosto
Budir km. 47775-Dalvik km. 48440
Kopasker è ormai la nostra dannazione. Questo minuscolo villaggio, forrtemente voluto da Sassoli è stato dapprima saltato di netto, in seguito ribadito come unico rimpianto dell’itinerario stradale. Lo stesso Kopasker ha creato pure qualche fastidio alimentando una piccole lite con la Callegaro.
Insomma, caro Kopasker, stiamo arrivando, ti abbiamo preferito a Londra, ad Oxford, ai ponti in brick di Cambridge; abbiamo fatto dietrofront e siamo risaliti verso Akureyri, attraverso i maestosi panorami di cui è prodiga la ring road.
In ogni caso se vedete un uomo con la barba ai distributori di benzina sono sicuramente io; possiamo tranquillamente affermare che ho urinato almeno 93 volte e fatto benzina 216 sul suolo islandese, pertanto conosco tutte le sfumature delle 3 principali compagnie petrolifere.
La N1 la conosciamo bene, è ormai un mito, verrà presto rilevata da Bill Gates che ne costruirà 8000 negli States, tutte rigorosamente a forma di culo.
Poi c’è la Olis che presenta cassiere un po’ più dimesse, parchi giochi per bambini senza scivolo e al market non hanno i pavesini.
Un capitolo a parte va speso per la Shell, la più bistrattata delle 3. Anzitutto evitate di inserire la carta prepagata nella fessura, è tutto un trucco per prendere le vostre imronte digitali ed identificarvi. Poi dimenticatevi la spesa; la commessa apre il tendone solo una mezzoretta nei festivi e se non avete la Shell card night club non potrete acquistare neanche un grissino. In compenso potete farvi un bel bagno caldo, quasi tutte le shell sono vecchi geyser in disuso.
Il nostro viaggio prosegue, tra colpi di coda e piccoli drammi (Sassoli si è dimesso dopo 7 anni di duro lavoro, è statao giudicato non idoneo dalla Callegaro, ma alla faccia di tutti continua imperterrito a fare benzina e se mi permettete ha ancora un’ottima penna).
Prosegue anche la seduta psicanalitica con la Callegaro, come dice Lino Toffolo, psicanalizzate perfino un carcerato dopo un piatto di trippa ma non provateci mai con un veneziano! Effettivamente si scopre che non si è mai fatta una canna, è stata in montagna per 10 anni di seguito con lo stesso partner, prendendo la stessa funivia e usnado lo stesso biglietto. Naturalmente anche oggi porta gli stessi pantaloni pseudoimpermeabili!
Finalmente arrivamo a Dalvik, stretto tra cime innevate, questo paesotto di fiordo è praticamente perfetto con il suo supermercato fornitissimo, la banca aperta anche per Natale e infine il porto, dove le barche sono sistemate con esattezza cartesiana. Entriamo in hotel, ci accolgono ¾ discretamente fiche, occhi di ghiaccio, sorriso esemplare, da applauso insomma. Io vado a fare la spesa, mi crogiuolo a rimirare le centinaia di cioccolate pesanti sullo scaffale, poi silente pago, alla cassa c’è un’altra strafiga, si è messa le unghie finte, ma sono talmente ben finte che stanno bene comunque. Con la borsa, il sugo e i biscotti entro in jeep, mi guardo intorno attorniato dai cartelli che vietano di andare oltre 30 all’ora, vado un po ‘oltre il centro, costituito dal grill che vende Viking e abbocco la chiesa, anch’essa squisitamente islandese, perfetta e senza macchie.
Tutto è pace, tutto è squisita armonia, qui a Dalvik, 66 parallelo.
Kopasker è ormai la nostra dannazione. Questo minuscolo villaggio, forrtemente voluto da Sassoli è stato dapprima saltato di netto, in seguito ribadito come unico rimpianto dell’itinerario stradale. Lo stesso Kopasker ha creato pure qualche fastidio alimentando una piccole lite con la Callegaro.
Insomma, caro Kopasker, stiamo arrivando, ti abbiamo preferito a Londra, ad Oxford, ai ponti in brick di Cambridge; abbiamo fatto dietrofront e siamo risaliti verso Akureyri, attraverso i maestosi panorami di cui è prodiga la ring road.
In ogni caso se vedete un uomo con la barba ai distributori di benzina sono sicuramente io; possiamo tranquillamente affermare che ho urinato almeno 93 volte e fatto benzina 216 sul suolo islandese, pertanto conosco tutte le sfumature delle 3 principali compagnie petrolifere.
La N1 la conosciamo bene, è ormai un mito, verrà presto rilevata da Bill Gates che ne costruirà 8000 negli States, tutte rigorosamente a forma di culo.
Poi c’è la Olis che presenta cassiere un po’ più dimesse, parchi giochi per bambini senza scivolo e al market non hanno i pavesini.
Un capitolo a parte va speso per la Shell, la più bistrattata delle 3. Anzitutto evitate di inserire la carta prepagata nella fessura, è tutto un trucco per prendere le vostre imronte digitali ed identificarvi. Poi dimenticatevi la spesa; la commessa apre il tendone solo una mezzoretta nei festivi e se non avete la Shell card night club non potrete acquistare neanche un grissino. In compenso potete farvi un bel bagno caldo, quasi tutte le shell sono vecchi geyser in disuso.
Il nostro viaggio prosegue, tra colpi di coda e piccoli drammi (Sassoli si è dimesso dopo 7 anni di duro lavoro, è statao giudicato non idoneo dalla Callegaro, ma alla faccia di tutti continua imperterrito a fare benzina e se mi permettete ha ancora un’ottima penna).
Prosegue anche la seduta psicanalitica con la Callegaro, come dice Lino Toffolo, psicanalizzate perfino un carcerato dopo un piatto di trippa ma non provateci mai con un veneziano! Effettivamente si scopre che non si è mai fatta una canna, è stata in montagna per 10 anni di seguito con lo stesso partner, prendendo la stessa funivia e usnado lo stesso biglietto. Naturalmente anche oggi porta gli stessi pantaloni pseudoimpermeabili!
Finalmente arrivamo a Dalvik, stretto tra cime innevate, questo paesotto di fiordo è praticamente perfetto con il suo supermercato fornitissimo, la banca aperta anche per Natale e infine il porto, dove le barche sono sistemate con esattezza cartesiana. Entriamo in hotel, ci accolgono ¾ discretamente fiche, occhi di ghiaccio, sorriso esemplare, da applauso insomma. Io vado a fare la spesa, mi crogiuolo a rimirare le centinaia di cioccolate pesanti sullo scaffale, poi silente pago, alla cassa c’è un’altra strafiga, si è messa le unghie finte, ma sono talmente ben finte che stanno bene comunque. Con la borsa, il sugo e i biscotti entro in jeep, mi guardo intorno attorniato dai cartelli che vietano di andare oltre 30 all’ora, vado un po ‘oltre il centro, costituito dal grill che vende Viking e abbocco la chiesa, anch’essa squisitamente islandese, perfetta e senza macchie.
Tutto è pace, tutto è squisita armonia, qui a Dalvik, 66 parallelo.
23 agosto
Reykjolar km. 47461-Budir km. 447775
Stamattina risveglio all’alba, Sassoli era agitato si sarà alzato una ventina di volte. Così prima di mettere all’opera la colazione, ritiro dei miei panni stesi sul termosifone della camera da brava lavanderina ho dato fondo al bagnoschiuma per riportare ad una parvenza igienica varie magliette, slip e calzini. Svolti questi compiti primari, colazioniamo tra biscotti e thè alla mela e cannella mettendo in opera l’itinerario di oggi.
Prima incombenza: fare benza, ma alle 8.45 non c’è niente di aperto neanche l’N1 ci viene in soccorso, per fortuna ancora ce n’è e proseguiamo. Verso mezzogiorno affamti e mezzi addormentati decidiamo di mangiare un po’ più sano quest’oggi. Quindi niente panini ma yogurt per entrambi. Ci diamo quindi alla visita di Stykkisholmur, un carino villaggio di mare, tutto colorato, con casette basse e ben disposte. Saliamo anche a dare un’occhiata all’isoletta che c’è li davanti dalla quale spunta una casupola arancione facente parte di faro cittadino. Da lassù si ammira anche l’oceano punteggiato da infinite isolette (esattamente 2700, come dice la lonely) delle quali ne vediamo solo 2/3 a causa della nebbia che inizia a calarsi.
Si prosegue verso Olafsvik nela quale Sassoli decide di schiacciare un pisolino, mentre io mi dedico alla visita della città, non ho fatto i conti con l’oste però…2 mt. e comincia a diluviare così risalgo in macchina e attendo il riposo del guerriero Sassoli.
Riprendiamo la marcia verso una guesthouse poiché il mio compagno accusa i postumi della notte insonne. Nel frattempo aggiriamo lo Snaefellsjokull sempre avvolto da una coltre di nebbia e nubi …ed ecco spuntare in lontananza 2 rocce nel mare. Scopriremo si tratta di Londrangar. Si scende per una breve visita tra 2 fenomeni temporaleschi. Si prosegue fino ad Arnarstapi dove Sassoli scende per una guesthouse 2600 corone a testa…no è troppo…un po’ più avanti ce n’è un’altra…tutta in legno con il tetto di torba sembrano delle villettine a schiera. Sono 3000 corone a testa…non ci pensiamo neppure, tanto sono carine, ed entriamo…ed abbiamo fatto bene…dentro è proprio un bungalow, 3 camere da 2, una cucinetta, il bagno, il soppalco con altri 3 posti letto e un soggiorno che si affaccia sul mare e dal quale si gode una vista meravigliosa. Tutto questo è tutto per noi!!!!L’omino che ci fa entrare metà a gesti metà a parole mozzicate ci spiega che sul retro c’è anche la piscinetta, spettacolo! E ora qui stesi ognuno su un divano guardiamo la pioggia scendere sui vetri, il mare lì fuori, il vento fischiare…e chi ne se va più da un posto così?????
Stamattina risveglio all’alba, Sassoli era agitato si sarà alzato una ventina di volte. Così prima di mettere all’opera la colazione, ritiro dei miei panni stesi sul termosifone della camera da brava lavanderina ho dato fondo al bagnoschiuma per riportare ad una parvenza igienica varie magliette, slip e calzini. Svolti questi compiti primari, colazioniamo tra biscotti e thè alla mela e cannella mettendo in opera l’itinerario di oggi.
Prima incombenza: fare benza, ma alle 8.45 non c’è niente di aperto neanche l’N1 ci viene in soccorso, per fortuna ancora ce n’è e proseguiamo. Verso mezzogiorno affamti e mezzi addormentati decidiamo di mangiare un po’ più sano quest’oggi. Quindi niente panini ma yogurt per entrambi. Ci diamo quindi alla visita di Stykkisholmur, un carino villaggio di mare, tutto colorato, con casette basse e ben disposte. Saliamo anche a dare un’occhiata all’isoletta che c’è li davanti dalla quale spunta una casupola arancione facente parte di faro cittadino. Da lassù si ammira anche l’oceano punteggiato da infinite isolette (esattamente 2700, come dice la lonely) delle quali ne vediamo solo 2/3 a causa della nebbia che inizia a calarsi.
Si prosegue verso Olafsvik nela quale Sassoli decide di schiacciare un pisolino, mentre io mi dedico alla visita della città, non ho fatto i conti con l’oste però…2 mt. e comincia a diluviare così risalgo in macchina e attendo il riposo del guerriero Sassoli.
Riprendiamo la marcia verso una guesthouse poiché il mio compagno accusa i postumi della notte insonne. Nel frattempo aggiriamo lo Snaefellsjokull sempre avvolto da una coltre di nebbia e nubi …ed ecco spuntare in lontananza 2 rocce nel mare. Scopriremo si tratta di Londrangar. Si scende per una breve visita tra 2 fenomeni temporaleschi. Si prosegue fino ad Arnarstapi dove Sassoli scende per una guesthouse 2600 corone a testa…no è troppo…un po’ più avanti ce n’è un’altra…tutta in legno con il tetto di torba sembrano delle villettine a schiera. Sono 3000 corone a testa…non ci pensiamo neppure, tanto sono carine, ed entriamo…ed abbiamo fatto bene…dentro è proprio un bungalow, 3 camere da 2, una cucinetta, il bagno, il soppalco con altri 3 posti letto e un soggiorno che si affaccia sul mare e dal quale si gode una vista meravigliosa. Tutto questo è tutto per noi!!!!L’omino che ci fa entrare metà a gesti metà a parole mozzicate ci spiega che sul retro c’è anche la piscinetta, spettacolo! E ora qui stesi ognuno su un divano guardiamo la pioggia scendere sui vetri, il mare lì fuori, il vento fischiare…e chi ne se va più da un posto così?????
22 agosto
Patreksfjordur km. 47135-Reykjolar km. 47641
Patreksfjordur è uno dei tanti anonimi villaggi sui fiordi dove non succede mai nulla ma c’è tutto, banca, supermercato, biblioteca e persino un cinema.
E’ questa una delle sensazioni più surreali che pervade un po’ tutta l’Islanda, questa sorta di immobilismo superorganizzato.
L’islandese medio, tanto per fare stereotipi, è una persona curiosa, spesso colta, fa 2 o 3 lavori contemporaneamente eppure sembra davvero poco stressato. Le donne, oltre ad essere di una bellezza sopra la media, spesso sono ragazze madri molto forti ed indipendenti. L’uomo praticamente è relegato ad asfaltare strade, ma quando avranno finito il catrame che faranno sti islandesi?
C’è da credere che inventeranno di sicuro qualcosaltro; tostapani a scomparsa negli ostelli, pay tv al N1, vulcani in plexiglass.
L’itinerario odierno è di fatto emozionante, prima le grandi spiagge di Raudissandur, di colore beige; poi le alte scogliere di Latrabjarg, l’angolo più occidentale d’Europa, cosparso di nere falesie scolpite dal vento che aggettano al mare. Siamo duqnue tra bianchi fari e candidi gabbiani, come dispersi in immensi lembi di sabbia. Se si guarda in alto ci si deve inchinare all’altezza di questi scogli o stupire nell’incrociare una chiesetta in legno tutta nera. Scenari remoti, di estremo isolamento ma non di torale solitudine.
Proseguiamo verso Reykjolar, in mezzo a rocce vaporose; il panorama via via scema in bellezza, le montagne perdono superbia, la vegetazione si appanna in colore. Giungiamo a Reykjolar, dall’ostello s’intuisce la bianca chiesa giù a fondovalle. Qualche vecchio scafo arrugginito dorme spalancato sul mare ma è solo l’immaginazione di un poeta perché dalle nostre camere sotteranee ci è privato lo sguardo.
Stasera, in questo ostello bunker, tocca a me parlare degli usi e costumi islandesi. Una cosa che ho notato soprattutto in questa parte occidentale (Isafjordur, Patreksfjordur) ogni casetta c’ha il suo bel pennone per la bandiera, ora di bandiere sventolare ne ho viste poche, ma forse era l’orario avranno già fatto l’ammaina bandiera, ma ditemi voi chi in Italia si sognerebbe anche solo di mettersi sto “coso” in giardino? Molto patriottico!!!
Altro “uso e costumo” è quello di togliersi le scarpe appena metti il naso dentro alla porta di casa, che sia ostello, albergo o come mi dice Sassoli che ha provato, casa islandese. In entrata c’è una bella mostra di scarpe di ogni genere: da ginnastica, scarponi da montagna, da trekking. E se una mattina uno si sveglia e avendo male ai piedi ti fregasse le scarpe???
Va bhè…abbandonati questi discorsi poco seri torniamo a noi…questa sera tiene banco cosa fare dopo la penisola di Snaefellsness (che contiamo ci impegni 2 giorni) la lotta c’è…prendere un volo per la groenlandia a 29000 corone, oppure un ferry boat per le Far Oer che però abbiamo notato partirebbe giovedì alle 12 e ci impiega 14 ore…il che è un po’ poco fattibile, visto che oggi è mercoledì e poi venerdì prossimo dobbiamo ripartire…mah…c’è Sassoli con 2 cartine aperte, la Lonely sulle ginocchia che cerca un’alternativa…forse l’ha trovata in Heimaey…vediamo se la notte porta consiglio.
Patreksfjordur è uno dei tanti anonimi villaggi sui fiordi dove non succede mai nulla ma c’è tutto, banca, supermercato, biblioteca e persino un cinema.
E’ questa una delle sensazioni più surreali che pervade un po’ tutta l’Islanda, questa sorta di immobilismo superorganizzato.
L’islandese medio, tanto per fare stereotipi, è una persona curiosa, spesso colta, fa 2 o 3 lavori contemporaneamente eppure sembra davvero poco stressato. Le donne, oltre ad essere di una bellezza sopra la media, spesso sono ragazze madri molto forti ed indipendenti. L’uomo praticamente è relegato ad asfaltare strade, ma quando avranno finito il catrame che faranno sti islandesi?
C’è da credere che inventeranno di sicuro qualcosaltro; tostapani a scomparsa negli ostelli, pay tv al N1, vulcani in plexiglass.
L’itinerario odierno è di fatto emozionante, prima le grandi spiagge di Raudissandur, di colore beige; poi le alte scogliere di Latrabjarg, l’angolo più occidentale d’Europa, cosparso di nere falesie scolpite dal vento che aggettano al mare. Siamo duqnue tra bianchi fari e candidi gabbiani, come dispersi in immensi lembi di sabbia. Se si guarda in alto ci si deve inchinare all’altezza di questi scogli o stupire nell’incrociare una chiesetta in legno tutta nera. Scenari remoti, di estremo isolamento ma non di torale solitudine.
Proseguiamo verso Reykjolar, in mezzo a rocce vaporose; il panorama via via scema in bellezza, le montagne perdono superbia, la vegetazione si appanna in colore. Giungiamo a Reykjolar, dall’ostello s’intuisce la bianca chiesa giù a fondovalle. Qualche vecchio scafo arrugginito dorme spalancato sul mare ma è solo l’immaginazione di un poeta perché dalle nostre camere sotteranee ci è privato lo sguardo.
Stasera, in questo ostello bunker, tocca a me parlare degli usi e costumi islandesi. Una cosa che ho notato soprattutto in questa parte occidentale (Isafjordur, Patreksfjordur) ogni casetta c’ha il suo bel pennone per la bandiera, ora di bandiere sventolare ne ho viste poche, ma forse era l’orario avranno già fatto l’ammaina bandiera, ma ditemi voi chi in Italia si sognerebbe anche solo di mettersi sto “coso” in giardino? Molto patriottico!!!
Altro “uso e costumo” è quello di togliersi le scarpe appena metti il naso dentro alla porta di casa, che sia ostello, albergo o come mi dice Sassoli che ha provato, casa islandese. In entrata c’è una bella mostra di scarpe di ogni genere: da ginnastica, scarponi da montagna, da trekking. E se una mattina uno si sveglia e avendo male ai piedi ti fregasse le scarpe???
Va bhè…abbandonati questi discorsi poco seri torniamo a noi…questa sera tiene banco cosa fare dopo la penisola di Snaefellsness (che contiamo ci impegni 2 giorni) la lotta c’è…prendere un volo per la groenlandia a 29000 corone, oppure un ferry boat per le Far Oer che però abbiamo notato partirebbe giovedì alle 12 e ci impiega 14 ore…il che è un po’ poco fattibile, visto che oggi è mercoledì e poi venerdì prossimo dobbiamo ripartire…mah…c’è Sassoli con 2 cartine aperte, la Lonely sulle ginocchia che cerca un’alternativa…forse l’ha trovata in Heimaey…vediamo se la notte porta consiglio.
21 agosto
Isafjordur km 46897-Patreksfjordur km. 47135
Colazione con coppia di milanesi, lui crede di sapere tutto e invece so più io, lei ha un umorismo debordante, eccessivo, si sospetta gravidanza alle porte!!!
Questi 2 disgraziati hanno speso 4 prezziosissimi giorni, qui a Isafjordur, visitando 3 volte il cimitero pubblico, e bevendo 18 caffè.
In pratica da soli hanno sovvenzionato l’Isafjordur Thai Resturant che non vedeva turisti dall’82 quando ci fu la calata dei groenlandesi, peccato che erano in 16, compresi i fiordi minori. Però bello sarebbe andare in Groenlandia!!!! Prendere l’aereo a Reykjavik e con una scorta di 8 muffin raggiungere questa terra remota!!!
Non che siano meno remoti i fiordi che stiamo infilzando a uno ad uno (pingeyri, biduldalur, nupur, basur, terotapur e in generale tutto ciò che finisce in ur).
A Kaldbakur, o meglio sulla costa che lo circonda abbiamo provato a percorrere la mulattiera a picco sulla scogliera ma dopo 2 minuti abbiamo sentito uno strano eco sinistro che finiva per -ur; subito spaventati pensando che si trattasse di Batman abbiamo indietreggiato di volata sulla sterrata principale, perché quassù le strade sono molllto comodeee!.
Ah importante! In caso di avvistamento trolls seguite le seguenti regole:
1. contate fino a 3
2. visto che ci siete contate pure fino a 6, la soluzione non è così immediata
3. se arrivate a 68 ed il troll non se ne vuole andare, forse è il caso che ve ne andiate voi
4. fermatevi al primo N1 che trovate e prendete un muffin per riprendervi dallo spavento.
Colazione con coppia di milanesi, lui crede di sapere tutto e invece so più io, lei ha un umorismo debordante, eccessivo, si sospetta gravidanza alle porte!!!
Questi 2 disgraziati hanno speso 4 prezziosissimi giorni, qui a Isafjordur, visitando 3 volte il cimitero pubblico, e bevendo 18 caffè.
In pratica da soli hanno sovvenzionato l’Isafjordur Thai Resturant che non vedeva turisti dall’82 quando ci fu la calata dei groenlandesi, peccato che erano in 16, compresi i fiordi minori. Però bello sarebbe andare in Groenlandia!!!! Prendere l’aereo a Reykjavik e con una scorta di 8 muffin raggiungere questa terra remota!!!
Non che siano meno remoti i fiordi che stiamo infilzando a uno ad uno (pingeyri, biduldalur, nupur, basur, terotapur e in generale tutto ciò che finisce in ur).
A Kaldbakur, o meglio sulla costa che lo circonda abbiamo provato a percorrere la mulattiera a picco sulla scogliera ma dopo 2 minuti abbiamo sentito uno strano eco sinistro che finiva per -ur; subito spaventati pensando che si trattasse di Batman abbiamo indietreggiato di volata sulla sterrata principale, perché quassù le strade sono molllto comodeee!.
Ah importante! In caso di avvistamento trolls seguite le seguenti regole:
1. contate fino a 3
2. visto che ci siete contate pure fino a 6, la soluzione non è così immediata
3. se arrivate a 68 ed il troll non se ne vuole andare, forse è il caso che ve ne andiate voi
4. fermatevi al primo N1 che trovate e prendete un muffin per riprendervi dallo spavento.
20 agosto
Skagastrond km. 46433-Isafjordur km. 46897
La notte passata al riparo nella nostra “Grissie” passa in fretta, è già mattino. Prendiamo possesso della cucina nuova di zecca in legno di pino del campeggio e colazioniamo con succo di frutta e pane e marmellata, anzi colaziono solo io, mentre Sassoli dallo sguardo triste si nutre solo di Kappi (latte e cacao).
Risaliamo in macchina e si riparte sempre più a nord. Lasciamo Skagastrond a suon di musica country attraversiamo Blonduos lasciamo poi la 1 per affrontare l’impervia n.61 che ci porterà a Isafjordur. Per pranzo giungiamo a Holmavik, Sassoli opta per girarcela in solitudine la citta quasi a dividere definitivamente il viaggio. Io mi dirigo verso il porto, uno pseudo faro, la chiesetta…chiusa, mentre Sassoli visita il museo della stregoneria.
Si rimonta in sella alla santa fe, direi quasi costretti insieme,la starda si dipana un po’ sterrata un po’ asfaltata e si cominciano a solcare i primi firodi. Il primo che affrontiamo è quasi il più imponente di tutti, è Isafjordur, immerso tra 2 montagne che lo circondano se ne sta li rintanato al sicuro dall’oceano. Di fronte a noi ad ogni entrata ed uscita dai vari fiordi si staglia il ghiacciaio Dragajokull che con le sue nevi perenni incornicia i fiordi.
Arriviamo finalmente a Sudavik ultimo paesino prima dell’ambita meta, ancora qualche km. La strada gira intorno alla montagna c’è una piccola galleria, quasi un arco a suggellare l’entrata a questo ultimo avamposto. Ed eccolo spuntare placidamente adagiato sul lato sinistro della montagna. La ricerca di un alloggio sembra un’impresa platonica, ma poi la gentile ragaza dell’hotel Isafjordur, telefona alla Gamla Guesthouse (dove mi avevano detto che era tutto pieno, vai a capirli ‘sti islandesi) e ci trova una sistemazione su letti a castello con altre persone. Depositiamo quindi i nostri sacchi a peloe … ci si divide di nuovo…(non mi piacciono queste divisioni, ma forse me le sono cercate!!) per la visita della città, che di cosmopolita, come dice la Lonely, ha ben poco visto che tutti i negozi chiudono alle 18.
Nonostante la città sia tutt’altro che cosmopolita, oggi è un giorno da fiabe e come nelle migliori fiabe ecco che appare lei; sembra uscita dalla ciotola di un pittore isterico, tutta colorata, le scarpe raso terra stile danza, la sottana rosso porpora un po’ sgualcita e la cartella in cartongesso marrone sulle spalle. E’ lì ferma sul marciapiede che chiacchera amabilmente tenendo ben salda la biciclettina col cestello. Le sue comari sono 2 30enni; una è gravida, di pelo rossiccio, l’altra è una bionda che ha già sfigliolato. Basterebbe pronunciare appena un po’ più forte il suo nome e lei si volterebbe, Amalia, creatura sublime, conosciuta 5 anni fa da mio cugino Tommy, qui proprio a Isafjordur, poi reincontrata 2 anni fa ad un party estivo.
Prendo coraggio e appena uscita da un negozio di casalinghi la fermo, gli racconto la storia, lei rimane allibita quanto me; ha un bellissimo sorriso che sprizza gioia di vivere, rotondità. Mi invita a prendere una birra dopo cena, io le spiego che di fatto sono in compagnia femminile ma cedo alle sue spiegazioni sulla strada.
Si tratta di una vecchia casa oltre il porto, proprio oltre il ristorante di pesce, il quartiere si chiama tipo quel fiordo a est, Neskaupstadur, forse è soltanto la traduzione di bagni pubblici ma chi se ne importa; ho una tale voglia di fare quell’itinerario così romantico che devo farlo. Il tempo di cenare ed esco, sarà l’entusiasmo ma Isafjordur ora mi appare più poetica: percorro tutta la strada principale e arrivo al molo. In questi casi il mio intuito non fallisce mai, è di sicuro la casetta nera sulla destra, e poi c’è la bicicletta parcheggiata. Ci giro intorno ¾ volte con l’aria finto interrogativa poi mi avvicino un po’ troppo e una signora sulla 60ina mi intercetta, non ho più scampo, olte il vetro esplode il sorriso di Amalia che corre ad aprirmi, scalza mi conduce in salotto, mette su un portafrutta in vetro pieno di mirtilli e versati sui bicchieri ci spruzza panna e zucchero. Di fronte a me ho i genitori, due 60enni giovanili e brillanti, ho sempre troppa immaginazione lo so ma mi sembra di essere lì a chiederle la mano, che buffo!!! La conversazione procede spedita, intelligente e divertente; ad un certo punto tirano fuori vecchie mappe ingiallite, mi spiegano improbabili strade di fiordi nascosti, lei sorride, scalza e ora con i capelli sciolti.
Poi mi fa vedere i sassi neri di Snaelfoss, conservati in un cestino di vimini, poi al terzo caffè trovo la forza di congedarmi, saluto tutti e in ultimo lei che non riesce del tutto a celare i seni vichinghi.
Se fosse sola sarebbe da baciarla ma meglio non fare pazzie, meglio correre come un bambino verso il letto, felice ed entusiasta. Forse ci rivedremo a Firenze, dolce Amalia.
La notte passata al riparo nella nostra “Grissie” passa in fretta, è già mattino. Prendiamo possesso della cucina nuova di zecca in legno di pino del campeggio e colazioniamo con succo di frutta e pane e marmellata, anzi colaziono solo io, mentre Sassoli dallo sguardo triste si nutre solo di Kappi (latte e cacao).
Risaliamo in macchina e si riparte sempre più a nord. Lasciamo Skagastrond a suon di musica country attraversiamo Blonduos lasciamo poi la 1 per affrontare l’impervia n.61 che ci porterà a Isafjordur. Per pranzo giungiamo a Holmavik, Sassoli opta per girarcela in solitudine la citta quasi a dividere definitivamente il viaggio. Io mi dirigo verso il porto, uno pseudo faro, la chiesetta…chiusa, mentre Sassoli visita il museo della stregoneria.
Si rimonta in sella alla santa fe, direi quasi costretti insieme,la starda si dipana un po’ sterrata un po’ asfaltata e si cominciano a solcare i primi firodi. Il primo che affrontiamo è quasi il più imponente di tutti, è Isafjordur, immerso tra 2 montagne che lo circondano se ne sta li rintanato al sicuro dall’oceano. Di fronte a noi ad ogni entrata ed uscita dai vari fiordi si staglia il ghiacciaio Dragajokull che con le sue nevi perenni incornicia i fiordi.
Arriviamo finalmente a Sudavik ultimo paesino prima dell’ambita meta, ancora qualche km. La strada gira intorno alla montagna c’è una piccola galleria, quasi un arco a suggellare l’entrata a questo ultimo avamposto. Ed eccolo spuntare placidamente adagiato sul lato sinistro della montagna. La ricerca di un alloggio sembra un’impresa platonica, ma poi la gentile ragaza dell’hotel Isafjordur, telefona alla Gamla Guesthouse (dove mi avevano detto che era tutto pieno, vai a capirli ‘sti islandesi) e ci trova una sistemazione su letti a castello con altre persone. Depositiamo quindi i nostri sacchi a peloe … ci si divide di nuovo…(non mi piacciono queste divisioni, ma forse me le sono cercate!!) per la visita della città, che di cosmopolita, come dice la Lonely, ha ben poco visto che tutti i negozi chiudono alle 18.
Nonostante la città sia tutt’altro che cosmopolita, oggi è un giorno da fiabe e come nelle migliori fiabe ecco che appare lei; sembra uscita dalla ciotola di un pittore isterico, tutta colorata, le scarpe raso terra stile danza, la sottana rosso porpora un po’ sgualcita e la cartella in cartongesso marrone sulle spalle. E’ lì ferma sul marciapiede che chiacchera amabilmente tenendo ben salda la biciclettina col cestello. Le sue comari sono 2 30enni; una è gravida, di pelo rossiccio, l’altra è una bionda che ha già sfigliolato. Basterebbe pronunciare appena un po’ più forte il suo nome e lei si volterebbe, Amalia, creatura sublime, conosciuta 5 anni fa da mio cugino Tommy, qui proprio a Isafjordur, poi reincontrata 2 anni fa ad un party estivo.
Prendo coraggio e appena uscita da un negozio di casalinghi la fermo, gli racconto la storia, lei rimane allibita quanto me; ha un bellissimo sorriso che sprizza gioia di vivere, rotondità. Mi invita a prendere una birra dopo cena, io le spiego che di fatto sono in compagnia femminile ma cedo alle sue spiegazioni sulla strada.
Si tratta di una vecchia casa oltre il porto, proprio oltre il ristorante di pesce, il quartiere si chiama tipo quel fiordo a est, Neskaupstadur, forse è soltanto la traduzione di bagni pubblici ma chi se ne importa; ho una tale voglia di fare quell’itinerario così romantico che devo farlo. Il tempo di cenare ed esco, sarà l’entusiasmo ma Isafjordur ora mi appare più poetica: percorro tutta la strada principale e arrivo al molo. In questi casi il mio intuito non fallisce mai, è di sicuro la casetta nera sulla destra, e poi c’è la bicicletta parcheggiata. Ci giro intorno ¾ volte con l’aria finto interrogativa poi mi avvicino un po’ troppo e una signora sulla 60ina mi intercetta, non ho più scampo, olte il vetro esplode il sorriso di Amalia che corre ad aprirmi, scalza mi conduce in salotto, mette su un portafrutta in vetro pieno di mirtilli e versati sui bicchieri ci spruzza panna e zucchero. Di fronte a me ho i genitori, due 60enni giovanili e brillanti, ho sempre troppa immaginazione lo so ma mi sembra di essere lì a chiederle la mano, che buffo!!! La conversazione procede spedita, intelligente e divertente; ad un certo punto tirano fuori vecchie mappe ingiallite, mi spiegano improbabili strade di fiordi nascosti, lei sorride, scalza e ora con i capelli sciolti.
Poi mi fa vedere i sassi neri di Snaelfoss, conservati in un cestino di vimini, poi al terzo caffè trovo la forza di congedarmi, saluto tutti e in ultimo lei che non riesce del tutto a celare i seni vichinghi.
Se fosse sola sarebbe da baciarla ma meglio non fare pazzie, meglio correre come un bambino verso il letto, felice ed entusiasta. Forse ci rivedremo a Firenze, dolce Amalia.
19 agosto
Laugarvatn km. 45945- Skagastrond km. 46433
Stavolta non c’era più il signore sgattaiolante all’ostello di Laugarvatn. Al suo posto teneva banco la moglie, una bionda 50enne che ha tentato di rifilarci una camera a 6700 corone.
Alla fine abbiamo optato la tripla con sacco a pelo per 5400 corone e tanto di pay tv, soggiorno e cucinone arredato.
Dopo cena io ho passato la serata a leggere Meridiani, tra l’altro interessantissimo; un frammento narrava le gesta di 2 italiani matti da legare che muniti di una scorta di 800 patate hanno raggiunto il Grimsvotn, un lago glaciale sopra il Vatnajokull. I due pur avendocela fatta sono tornati a Bologna convinti di essere 2 pinguini e sono stati subito internati al più vicino campo profughi.
Per il resto, verso l’una di notte mi sono arreso a pensieri sconci con una ex collega di cineforum anche perché la Calle ha deciso di non darmela più.
La notte ha preso il sopravvento lasciandomi sospeso in sogni complessi nei quali un topo color ruggine chiede qual è la strada più breve per Teramo Nord. Il mattino si è presentato nuvoloso, raddolcito soltanto dalla squisita marmellata di albicocche, poi un istante tra il tostapane e la finestra, un attimo per sbirciarvi oltre e spiare una partita di calcio consumata in fretta.
Si parte, destinazione fiordi del Nord, through Kjolur, il rivale dello Sprengisandur. In pratica una grossa pista sterrata, lunga 135 km., piuttosto monotona paessaggisticamente e un po’ troppo poco selvaggia per piacere davvero. Arriviamo a Varlahlid, ci fermiamo per il pranzo dopo aver constatato la fine della nostra intesa simil amorosa. A dire il vero i segnali di una crisi c’erano già dal 7 agosto, quando comparvi per l’ultima volta in una sua foto a largo di Reykjavik e fuori fuoco. Già da lì si assaporava il dissolversi di un sentimento molto repentino nel nascere e nel morire.
Varmahlid si riassume in un’area di servizio, la N1, a cui gli islandesi non rinuncerebbero mai, ogni islandese che si rispetti ha il palstico della N1 nel tinello.
Molto più affascinante Siglufjordur, paesino strappazzato dal vento, piazzato con una bomba dall’aereo al termine di un maestoso fiordo.
Qui la gente sembra sparita, in realtà li troviamo tutti dentro un bar a godersi Liverpool-Chelsea.
Il resto sono abitazioni biancastre, fabbriche decacenti e variopinte tra pescherecci in disarmo, davvero un clima surreale, rarefatto, per certi versi decadentemente poetico.
Finale serata a Skagastrond, infarciti di cheeseburger e pizza ascoltando musica country nell’unico bar paesano. Fuori fa freddino, io ho un’aria malinconica, la Calle sembra impassibile, la vista ci regale un ultimo abbraccio di scogli e il mare è talmente immenso da non poterlo ignorare.
Stavolta non c’era più il signore sgattaiolante all’ostello di Laugarvatn. Al suo posto teneva banco la moglie, una bionda 50enne che ha tentato di rifilarci una camera a 6700 corone.
Alla fine abbiamo optato la tripla con sacco a pelo per 5400 corone e tanto di pay tv, soggiorno e cucinone arredato.
Dopo cena io ho passato la serata a leggere Meridiani, tra l’altro interessantissimo; un frammento narrava le gesta di 2 italiani matti da legare che muniti di una scorta di 800 patate hanno raggiunto il Grimsvotn, un lago glaciale sopra il Vatnajokull. I due pur avendocela fatta sono tornati a Bologna convinti di essere 2 pinguini e sono stati subito internati al più vicino campo profughi.
Per il resto, verso l’una di notte mi sono arreso a pensieri sconci con una ex collega di cineforum anche perché la Calle ha deciso di non darmela più.
La notte ha preso il sopravvento lasciandomi sospeso in sogni complessi nei quali un topo color ruggine chiede qual è la strada più breve per Teramo Nord. Il mattino si è presentato nuvoloso, raddolcito soltanto dalla squisita marmellata di albicocche, poi un istante tra il tostapane e la finestra, un attimo per sbirciarvi oltre e spiare una partita di calcio consumata in fretta.
Si parte, destinazione fiordi del Nord, through Kjolur, il rivale dello Sprengisandur. In pratica una grossa pista sterrata, lunga 135 km., piuttosto monotona paessaggisticamente e un po’ troppo poco selvaggia per piacere davvero. Arriviamo a Varlahlid, ci fermiamo per il pranzo dopo aver constatato la fine della nostra intesa simil amorosa. A dire il vero i segnali di una crisi c’erano già dal 7 agosto, quando comparvi per l’ultima volta in una sua foto a largo di Reykjavik e fuori fuoco. Già da lì si assaporava il dissolversi di un sentimento molto repentino nel nascere e nel morire.
Varmahlid si riassume in un’area di servizio, la N1, a cui gli islandesi non rinuncerebbero mai, ogni islandese che si rispetti ha il palstico della N1 nel tinello.
Molto più affascinante Siglufjordur, paesino strappazzato dal vento, piazzato con una bomba dall’aereo al termine di un maestoso fiordo.
Qui la gente sembra sparita, in realtà li troviamo tutti dentro un bar a godersi Liverpool-Chelsea.
Il resto sono abitazioni biancastre, fabbriche decacenti e variopinte tra pescherecci in disarmo, davvero un clima surreale, rarefatto, per certi versi decadentemente poetico.
Finale serata a Skagastrond, infarciti di cheeseburger e pizza ascoltando musica country nell’unico bar paesano. Fuori fa freddino, io ho un’aria malinconica, la Calle sembra impassibile, la vista ci regale un ultimo abbraccio di scogli e il mare è talmente immenso da non poterlo ignorare.
18 agosto
Hella km. 45658-Laugarvatn km 45945
La pensione di stanotte era un edificio un po’ anonimo dagli interni vagamente rustici fine anni 70. In compenso la colazione era a buffet e io mi sono abbuffato.
Tra gli affettati mancava il prosciutto fi Praga ma quello si può perdonare, è disponibile solo dai 3 stelle in su. Ma oggi vorrei parlare della viabilità; partiamo dalle autostrade: non esistono o delle ferrovie che non esistono neanche quelle. Ma insomma come ci si sposta in Islanda? Ci sono 3 alternative:
noleggio cavalli (Reykjavik-Hofn calcolate 7 notti in mezzo al nulla e portatevi una mega scorta di pop corn)
bus: tra le diverse compagnie la più preparata ci è sembrata la Reykjavik Excursion, a bordo hanno guide che parlano contemporaneamente 4 lingue e che al ritorno chiamano alla lavagna per interrogare. Impossibile distrarsi e ancora peggio è distrarre gli autisti, si rischia di essere esplulsi dal bus e guadare i fiumi in mountain bike. Per le prenotazioni rivolgetevi alla Banca d’Italia.
L’ultimo modo di viaggiare consiste nell’autostop che può risultare gradevole se non si segue la strada di Sjostrom Venarsson, barbone islandese che al bivio per Kopasker è decedeuto dopo un’attesa un po’ lunghina, riprenderò il tema viabilità più avanti con molto piacere…quanto ad oggi che dire!!! La zona di Landamanalaugar è clamorosamente bella; deserti neri che si interrompono a campi lavici, a magiche montagne svettanti incipriate di muschio verdissimo e riolite.Emozionante dopo la scalata al monte tuffarsi nelle calde acque geotermiche della piscina naturale ed uscirne con la pressione a 40! E altrettanto bizzarro assaporare il gusto di tornare a Laugarvatn nella nostra scuola di ballo sperando che non stiano girando Saranno Famosi.
La pensione di stanotte era un edificio un po’ anonimo dagli interni vagamente rustici fine anni 70. In compenso la colazione era a buffet e io mi sono abbuffato.
Tra gli affettati mancava il prosciutto fi Praga ma quello si può perdonare, è disponibile solo dai 3 stelle in su. Ma oggi vorrei parlare della viabilità; partiamo dalle autostrade: non esistono o delle ferrovie che non esistono neanche quelle. Ma insomma come ci si sposta in Islanda? Ci sono 3 alternative:
noleggio cavalli (Reykjavik-Hofn calcolate 7 notti in mezzo al nulla e portatevi una mega scorta di pop corn)
bus: tra le diverse compagnie la più preparata ci è sembrata la Reykjavik Excursion, a bordo hanno guide che parlano contemporaneamente 4 lingue e che al ritorno chiamano alla lavagna per interrogare. Impossibile distrarsi e ancora peggio è distrarre gli autisti, si rischia di essere esplulsi dal bus e guadare i fiumi in mountain bike. Per le prenotazioni rivolgetevi alla Banca d’Italia.
L’ultimo modo di viaggiare consiste nell’autostop che può risultare gradevole se non si segue la strada di Sjostrom Venarsson, barbone islandese che al bivio per Kopasker è decedeuto dopo un’attesa un po’ lunghina, riprenderò il tema viabilità più avanti con molto piacere…quanto ad oggi che dire!!! La zona di Landamanalaugar è clamorosamente bella; deserti neri che si interrompono a campi lavici, a magiche montagne svettanti incipriate di muschio verdissimo e riolite.Emozionante dopo la scalata al monte tuffarsi nelle calde acque geotermiche della piscina naturale ed uscirne con la pressione a 40! E altrettanto bizzarro assaporare il gusto di tornare a Laugarvatn nella nostra scuola di ballo sperando che non stiano girando Saranno Famosi.
17 agosto
Kirkjubaejarklaustur km. 45367-Hella km. 45658
La sveglia ci viene data da un gregge di pecore che hanno invaso il campeggio e tra i loro belati ci prepariamo per una nuova giornata, destinazione Vik i Myrdal, con sosta al N1 perché Sassoli deve scrivere qualcosa come 5000 cartoline.
Si dice che lo stesso Sassoli finora abbia perlustrato almeno 482 cessi. Ragazzi andare per cessi non è cosa da tutti! bisogna avere occhio, orecchio e sopratutto naso. All’ultimo corso di cessistica nazionale, tenutosi a Bolzano di recente mi hanno fatto mangiare pesche dolci per 3 giorni per rifarsi la bocca ma soprattutto per liberare il naso.
Gli islandesi in fatto di cessi sono grandi, ne mettono ovunque: l’ultimo l’hanno dovuto rimuovere con la gru, perché per manie di grandezza lo avevano messo in mezzo alla Ring Road. L’altro, quello sul cratere del Krafla, l’hanno refrigerato con il nervino; ai turisti prendeva fuoco il culo…
In fatto di cessi, il peggiore l’ho sperimentato stamani, appena prima di arrivare sullo splendido arco roccioso di Dirholaey, proprio a ridosso delle abitazioni delle pulcinelle di mare.
Nonostante la zona residenziale qui hanno piazzato una latrina sporca e dismessa caratterizzata da un eterno riflusso di carta igienica di forma pallottolosa.In pratica è l’equivalente di un bagno quasi accettabile dei nostri autogrill.
Per finire, nonostante si possa parlare di cessi per tante e tante pagine vorrei spendere 2 righe sui bagni per gli invalidi; ampi, luminosi, dotati di regolatore bacinografico possono realmente rappresentare una valida alternativa all’ostello.
Ricordatevi soltanto il numero della Croce Rossa per uscire perché c'è il bloccaggio automatico e le istruzioni sono in islandese.
Tornando ad una parvenza di serierà dobbiamo registrare il seguito della nostra avventura. Oggi siamo di stanza a Vik, piccolo paese sulle pendici di maestose montagne verdi; ne visitiamo i dintorni che offrono spiagge nere dove perdersi, promontori rocciosi dal piglio deciso e Skogafoss, gaudente cascata incorniciata dal verde.
Il sottostante Skogar è un abitato piuttosto isolato privo di pompe di benzina o night club. Non venite a cercarli qui, meglio la costa dei fiordi orientali, che di notte palpita di vita.
Oggi è anche il giorno di Porsmork, blasonata località turistica incastonata tra monti impervi e ghiacciai scoscesi. Sulla carta appariva difficile anche per il 4x4 ed effettivamente sono state rispettate le previsioni della vigilia. Maledetta Porsmork!!!! Che al 23 km. ci costringe a guardare il fiume passre tormentoso sotto ad un ponticello di legno solo per pedoni.
Da temerari non ci lasciamo scoraggiare, imbracciamo i nostri k-way e ponchi e partiamo a piedi sotto una pioggerellina insidiosa. Dopo circa un km la pioggerellina si è trasformata in un acquazzone vero e proprio, già mezzi fradici giriamo i tacchi e facciamo dietro front. Tristi e sconsolati visto che sono già le 18 ci arrendiamo alla pioggia, la nostra escursione a Porsmork l’abbiamo fatta, il Myrdalsjokull lo abbiamo visto, bisogna sapersi accontentare e noi lo facciamo. Di ritorno al fiume maledetto ci accorgiamo che le sue acque sono marroni (segno che è in piena) e il suo livello si è alzato, abbiamo fatto bene a desistere altrimenti ci saremmo trovati a passare la notte all’addiaccio.
Ritorniamo sui nostri passi, facciamo una sosta a vedere la cascata Seljalandfoss, per la cronaca Sassoli è stanco e non percorre neanche i 10 mt. che lo separano dalla cascata; mentre io mi avventuro a vedere la cascata anche da dietro e anche qualche metro più avanti la cascata di Gljufurarfoss, un po’ nascosta ma molto caratteristica chiusa all’interno di 2 massi che sembra la proteggano.
Via verso Hella alla ricerca di una sistemazione, che dopo lunghe ricerche si conclude con una spesa più alta dei nostri standard senza cucina ma per lo meno c’è la colazione inclusa, vorrà dire che domattina ci rifaremo, prima delle 8.30 però altrimenti poi, come ci dice un ragazzo rasta alla reception, la sala per le colazioni è tutta piena!!!
La sveglia ci viene data da un gregge di pecore che hanno invaso il campeggio e tra i loro belati ci prepariamo per una nuova giornata, destinazione Vik i Myrdal, con sosta al N1 perché Sassoli deve scrivere qualcosa come 5000 cartoline.
Si dice che lo stesso Sassoli finora abbia perlustrato almeno 482 cessi. Ragazzi andare per cessi non è cosa da tutti! bisogna avere occhio, orecchio e sopratutto naso. All’ultimo corso di cessistica nazionale, tenutosi a Bolzano di recente mi hanno fatto mangiare pesche dolci per 3 giorni per rifarsi la bocca ma soprattutto per liberare il naso.
Gli islandesi in fatto di cessi sono grandi, ne mettono ovunque: l’ultimo l’hanno dovuto rimuovere con la gru, perché per manie di grandezza lo avevano messo in mezzo alla Ring Road. L’altro, quello sul cratere del Krafla, l’hanno refrigerato con il nervino; ai turisti prendeva fuoco il culo…
In fatto di cessi, il peggiore l’ho sperimentato stamani, appena prima di arrivare sullo splendido arco roccioso di Dirholaey, proprio a ridosso delle abitazioni delle pulcinelle di mare.
Nonostante la zona residenziale qui hanno piazzato una latrina sporca e dismessa caratterizzata da un eterno riflusso di carta igienica di forma pallottolosa.In pratica è l’equivalente di un bagno quasi accettabile dei nostri autogrill.
Per finire, nonostante si possa parlare di cessi per tante e tante pagine vorrei spendere 2 righe sui bagni per gli invalidi; ampi, luminosi, dotati di regolatore bacinografico possono realmente rappresentare una valida alternativa all’ostello.
Ricordatevi soltanto il numero della Croce Rossa per uscire perché c'è il bloccaggio automatico e le istruzioni sono in islandese.
Tornando ad una parvenza di serierà dobbiamo registrare il seguito della nostra avventura. Oggi siamo di stanza a Vik, piccolo paese sulle pendici di maestose montagne verdi; ne visitiamo i dintorni che offrono spiagge nere dove perdersi, promontori rocciosi dal piglio deciso e Skogafoss, gaudente cascata incorniciata dal verde.
Il sottostante Skogar è un abitato piuttosto isolato privo di pompe di benzina o night club. Non venite a cercarli qui, meglio la costa dei fiordi orientali, che di notte palpita di vita.
Oggi è anche il giorno di Porsmork, blasonata località turistica incastonata tra monti impervi e ghiacciai scoscesi. Sulla carta appariva difficile anche per il 4x4 ed effettivamente sono state rispettate le previsioni della vigilia. Maledetta Porsmork!!!! Che al 23 km. ci costringe a guardare il fiume passre tormentoso sotto ad un ponticello di legno solo per pedoni.
Da temerari non ci lasciamo scoraggiare, imbracciamo i nostri k-way e ponchi e partiamo a piedi sotto una pioggerellina insidiosa. Dopo circa un km la pioggerellina si è trasformata in un acquazzone vero e proprio, già mezzi fradici giriamo i tacchi e facciamo dietro front. Tristi e sconsolati visto che sono già le 18 ci arrendiamo alla pioggia, la nostra escursione a Porsmork l’abbiamo fatta, il Myrdalsjokull lo abbiamo visto, bisogna sapersi accontentare e noi lo facciamo. Di ritorno al fiume maledetto ci accorgiamo che le sue acque sono marroni (segno che è in piena) e il suo livello si è alzato, abbiamo fatto bene a desistere altrimenti ci saremmo trovati a passare la notte all’addiaccio.
Ritorniamo sui nostri passi, facciamo una sosta a vedere la cascata Seljalandfoss, per la cronaca Sassoli è stanco e non percorre neanche i 10 mt. che lo separano dalla cascata; mentre io mi avventuro a vedere la cascata anche da dietro e anche qualche metro più avanti la cascata di Gljufurarfoss, un po’ nascosta ma molto caratteristica chiusa all’interno di 2 massi che sembra la proteggano.
Via verso Hella alla ricerca di una sistemazione, che dopo lunghe ricerche si conclude con una spesa più alta dei nostri standard senza cucina ma per lo meno c’è la colazione inclusa, vorrà dire che domattina ci rifaremo, prima delle 8.30 però altrimenti poi, come ci dice un ragazzo rasta alla reception, la sala per le colazioni è tutta piena!!!
16 agosto
Jokulsarlon km. 45066- Kirkjubaerklastur km 45367
Stamattina con nostra grande sorpresa ci accoglie un sole splendente, cielo terso di un azzurro intenso senza neanche una nuvola all’orizzonte. In quattro e quattr’otto ci rimettiamo in marcia, per non perdere neanche un filo di sole. Ripassiamo per Jokulsarlon, diamo un’altra occhiata agli iceberg poi attraversiamo il ponte e ci dirigiamo verso il mare per vedere gli iceberg finalmente liberi di vagare nell’oceano. C’è anche una foca che ci osserva dal mare poi si rituffa tra le onde.
Salutiamo gli iceberg e ci dirigiamo verso il Parco Nazionale di Skaftafell, il parcheggio è già strapieno di macchine ma per fortuna il parco è grande e non incontraimo molta gente.
Primo sentiero verso lo Skaftfeljokull. In meno di mezz’ora di cammino arriviamo ai piedi del ghiacciaio, è un po’ annerito dalla sabbia e quant’altro ma basta alzare di qualche centrimetro lo sguardo per perdersi nell’azzurro prima e poi nel bianco più assoluto. Anche qui ‘è una piccola Jokulsarlon (niente a che vedere con l’altra, ed è senza sbocchi al mare). Ritorniamo al centro visitatori per dirigersi verso la star (così la chiama la Lonely) del parco: la cascata Svartifoss. Attraversiamo un sentiero in mezzo al bosco che ci fa venire un po’ il fiatone, arriviamo ad una piccola radura ed eccola spuntare laggiù in fondo…beh chiamarla star è un po’ esagerato è un rivolo al confronto delle precedenti gulfoss e dettifoss. Certo è unica nel suo genere perché creata su colonne di basalto. Ritorniamo all’ovile, si pranza finalmente all’aperto, in una panchina del parco, ma poi il vento ci fa scappare.
Destinazione Lakagigar e Laki. La strada inizia tra splendide vallate verdeggianti, lastricate di sassi che ci fanno rallentare la marcia, dopo un po’ di verde si cominciano a vedere i crateri di Lakagigar che ci accompagnano fedeli fino al Laki. Saliamo sul cratere del laki dove c’è un vento terrificante che quasi mi sposta. Sassoli cerca in tutti i modi di farmi avvicinare al cratere (forse per tentare di eliminarmi) ma non mi riesce di spostarmi.
Attraversiamo il sandur (piane glaciale di sabbia) e approdiamo all’innominabile paese di Kirkju..qualcosa qui è difficle trovare una sistemazione (anche perché non ce ne sono) e quindi ci accomodiamo al campeggio.
Sistemiamo la nostra “Grissie” puntellandola con un grosso masso stile mattone per le case.
Stamattina con nostra grande sorpresa ci accoglie un sole splendente, cielo terso di un azzurro intenso senza neanche una nuvola all’orizzonte. In quattro e quattr’otto ci rimettiamo in marcia, per non perdere neanche un filo di sole. Ripassiamo per Jokulsarlon, diamo un’altra occhiata agli iceberg poi attraversiamo il ponte e ci dirigiamo verso il mare per vedere gli iceberg finalmente liberi di vagare nell’oceano. C’è anche una foca che ci osserva dal mare poi si rituffa tra le onde.
Salutiamo gli iceberg e ci dirigiamo verso il Parco Nazionale di Skaftafell, il parcheggio è già strapieno di macchine ma per fortuna il parco è grande e non incontraimo molta gente.
Primo sentiero verso lo Skaftfeljokull. In meno di mezz’ora di cammino arriviamo ai piedi del ghiacciaio, è un po’ annerito dalla sabbia e quant’altro ma basta alzare di qualche centrimetro lo sguardo per perdersi nell’azzurro prima e poi nel bianco più assoluto. Anche qui ‘è una piccola Jokulsarlon (niente a che vedere con l’altra, ed è senza sbocchi al mare). Ritorniamo al centro visitatori per dirigersi verso la star (così la chiama la Lonely) del parco: la cascata Svartifoss. Attraversiamo un sentiero in mezzo al bosco che ci fa venire un po’ il fiatone, arriviamo ad una piccola radura ed eccola spuntare laggiù in fondo…beh chiamarla star è un po’ esagerato è un rivolo al confronto delle precedenti gulfoss e dettifoss. Certo è unica nel suo genere perché creata su colonne di basalto. Ritorniamo all’ovile, si pranza finalmente all’aperto, in una panchina del parco, ma poi il vento ci fa scappare.
Destinazione Lakagigar e Laki. La strada inizia tra splendide vallate verdeggianti, lastricate di sassi che ci fanno rallentare la marcia, dopo un po’ di verde si cominciano a vedere i crateri di Lakagigar che ci accompagnano fedeli fino al Laki. Saliamo sul cratere del laki dove c’è un vento terrificante che quasi mi sposta. Sassoli cerca in tutti i modi di farmi avvicinare al cratere (forse per tentare di eliminarmi) ma non mi riesce di spostarmi.
Attraversiamo il sandur (piane glaciale di sabbia) e approdiamo all’innominabile paese di Kirkju..qualcosa qui è difficle trovare una sistemazione (anche perché non ce ne sono) e quindi ci accomodiamo al campeggio.
Sistemiamo la nostra “Grissie” puntellandola con un grosso masso stile mattone per le case.
15 agosto
Neskaupstadur km. 44626-Jokulsarlon km. 45066
Lasciamo nescafè, il nome vero è impronunciabile, dopo una notte in tenda. Stavolta abbiamo fissato i pioli passandoci sopra con il fuoristrada e nonostante il vento soffiasse come un fumatore di Lucky Strike non ha avuto la meglio. La mattina per lo smontaggio abbiamo ingaggiato la vicina imprese edile e siamo ripartiti dando un passaggio ad un polacco 30enne abbastanza singolare da sostare un altro giorno a Eskifjordur, paesotto fantasma appena 15 km sotto Nescafè.
Proseguiamo lungo la costa fino a Breiddavik, il tratto è straordinario e tanto selvaggio da meritare una sosta in un faro, per l’esattezza Vattarnes, dove ci accolgono 4 splendidi malamute.
Il vento spazza le alte scogliere, qui c’è il nulla assoluto per chilometri e chilometri di assoluta desolazione.
Ci fermiamo al Caffè Margret, mitico ristorantino dotato di una squisita torta di mele. Ripartiamo attraverso il nulla infinito, la Mirca non parla quasi più; dopo la torta di mele ha detto un “eh ciò” a Diupjvogur e un “porca puzzola” per un arrivo veloce ad un ponte stretto. Bisognerà che la porti da uno psicanalista ma il più vicino è a Dublino.
70 km dopo Hofn, famosa per le caldarosste al salmone e per uno zuccherificio incontriamo lo spettacolo degli iceberg in laguna di Jokulsarlon. Enormi pezzettoni di ghiaccio che riflettono il tramonto d’azzurro e d’arancio sotto stretto controllo del Vatnajokull che domina con le sue nevi l’intera vallata. Troviamo una simpatica sistemazione per la notte e come per magia la Calle riprende a parlare. Sperimao sia solo l’effetto del ghiaccio!!
In una cucina superaffolata si prepara la cena. Oggi ferragosto (che qui in Islanda è un giorno come un altro) lo chef consiglia:
riso al pomodoro
crostini al salmone alle erbette
Consumata ad un tavolo rotondo e mezzo traballante, mentre dal tavolo a ridosso del muro ci osservano degli invitanti biscottini al cioccolato già pronti per la colazione di domattina.
Ci ritiriamo nel loculo, Sassoli al letto, io nel materasso perpendicolare, speriamo non debba andare al bagno, altrimenti mi arriva la porta alla 6 costola e domani non vedo neanche le foche!!!
Lasciamo nescafè, il nome vero è impronunciabile, dopo una notte in tenda. Stavolta abbiamo fissato i pioli passandoci sopra con il fuoristrada e nonostante il vento soffiasse come un fumatore di Lucky Strike non ha avuto la meglio. La mattina per lo smontaggio abbiamo ingaggiato la vicina imprese edile e siamo ripartiti dando un passaggio ad un polacco 30enne abbastanza singolare da sostare un altro giorno a Eskifjordur, paesotto fantasma appena 15 km sotto Nescafè.
Proseguiamo lungo la costa fino a Breiddavik, il tratto è straordinario e tanto selvaggio da meritare una sosta in un faro, per l’esattezza Vattarnes, dove ci accolgono 4 splendidi malamute.
Il vento spazza le alte scogliere, qui c’è il nulla assoluto per chilometri e chilometri di assoluta desolazione.
Ci fermiamo al Caffè Margret, mitico ristorantino dotato di una squisita torta di mele. Ripartiamo attraverso il nulla infinito, la Mirca non parla quasi più; dopo la torta di mele ha detto un “eh ciò” a Diupjvogur e un “porca puzzola” per un arrivo veloce ad un ponte stretto. Bisognerà che la porti da uno psicanalista ma il più vicino è a Dublino.
70 km dopo Hofn, famosa per le caldarosste al salmone e per uno zuccherificio incontriamo lo spettacolo degli iceberg in laguna di Jokulsarlon. Enormi pezzettoni di ghiaccio che riflettono il tramonto d’azzurro e d’arancio sotto stretto controllo del Vatnajokull che domina con le sue nevi l’intera vallata. Troviamo una simpatica sistemazione per la notte e come per magia la Calle riprende a parlare. Sperimao sia solo l’effetto del ghiaccio!!
In una cucina superaffolata si prepara la cena. Oggi ferragosto (che qui in Islanda è un giorno come un altro) lo chef consiglia:
riso al pomodoro
crostini al salmone alle erbette
Consumata ad un tavolo rotondo e mezzo traballante, mentre dal tavolo a ridosso del muro ci osservano degli invitanti biscottini al cioccolato già pronti per la colazione di domattina.
Ci ritiriamo nel loculo, Sassoli al letto, io nel materasso perpendicolare, speriamo non debba andare al bagno, altrimenti mi arriva la porta alla 6 costola e domani non vedo neanche le foche!!!
14 agosto
Borgarfjordur Eystri km. 44371-Neskaupstadur km. 44626
Preparativi per le grandi manovre, Sassoli sveglio all’alba (7.00) si fa la barba poi la doccia, nel frattempo il sig. tedesco l’avrà mandato a quel paese. Pulito di tutto punto decide di andare a prendersi il latte e così sparisce…è il mio turno, per me solo doccia in un bagno enorme con la bellezza di due box doccia, già di prima mattina sono ad un bivio scegliere il box di destra o quello di sinistra, alla fine dopo lungo pensare opto per quello di sinistra meno utilizzato. Nel frattempo triste e sconsolato Sassoli rientra, il supermercato apre alle 10, va beh in cucina il tedesco sta finendo di lavarsi la tazza, mettiamo su il thé (gentilemente offerto dalla guesthouse) e ce lo sorseggiamo mentre fuori imperversa la tempesta e il mare si infrange sugli scogli. Sistemati i bagagli, si riparte alla scoperta di questo meraviglioso paesino di mare, c’è la casa con il tetto di torba, il mercedes scalcinato.
Proviamo ad andare a vedere le lundi in un isolotto poco distante, qualcuna ci sfreccia davanti ma va a nascondersi nella scogliera sotto ad uno strato di muschio.
Lasciamo a malincuore questo piccolo paradiso alla volta di Elgisstadir dove rifocilliamo le nostre scorte di viveri, e ci diamo alla ricerca di una sim card per la mia macchina fotografica. Troviamo invece, un simpatico nonnino che mi fa vedere delle sim da 1950 corone ma c’è la possibilità di scaricare le foto su un cd a sole 450 corone, scelgo il cd ovviamente, l’omino mi dice anche che posso rivederle per essere sicuri, forse ha visto il mio sguardo preoccupato dal cancellarle dalla macchina. Tutto ok, si va alla volta di Seydisfjordur, che ci appare dopo una salita tra le nebbie islandesi. La vista è memorabile arroccato alla fine della gola. Ci indirizziamo subito a percorrere i 16 km. che ci separano dall’oceano, punteggiati di casette, camion abbandonati (la passione di Sassoli) cani che ci rincorrono e pecore. Ritorniamo in paese ci rifocilliamo con panini, cappuccino e tè e assaggiamo la torta di mele che effettivamente di mele ha poco, ci trovo un kiwi, l’ananas: una mattonata da digerire, mi ci vogliono 2 ore. Andiamo a visitare la chiesetta alla quale non si sarebbero date due lire e invece si rivela magnifica. Tutta di legno con imbottiture e profili blu, dove si respira un’aria di abitazione più che da chiesa. L’organo che sovrasta l’entrata, la balconata su entrambi i lati e l’altare illuminato dalle due finestre posizionate dietro.
Anche da qui ci allontaniamo con un felice ricordo nel cuore.
Si ritorna per l’ennesima volta ad Egilsstadir per prendere la route 92 direzione Reykjarfjordur che oltrepassiamo per raggiungere la meta di quest’oggi.
Attraversiamo anche Eskifjordur, che visiteremo domani e via dritti come treni verso Neskaupstadur. Dobbiamo attraversare prima il vallico più alto d’Islanda con una galleria di 630 mt. ad una corsia senza sapere se all’altro lato qualcuno è entrato…con le dita incrociate passimao indenni, ancora qualche curva ed eccolo spuntare. Per cercare una sistemazione alla fine l’abbiamo già visitato tutto, per stanotte si dorme in tenda (speriamo bene). Piantiamo a fondo i paletti, sistemiamo i sacchi a pelo e speriamo che non piova.
Certo la vista è ineguagliabile, l’oceano, le montagne, lo starnazzare dei gabbiani, il fruscio del vento tra gli alberi che abbiamo scelto come paravento, il fischio delle navi che entrano in porto.C’è poco da dire…questa è l’Islanda!
Preparativi per le grandi manovre, Sassoli sveglio all’alba (7.00) si fa la barba poi la doccia, nel frattempo il sig. tedesco l’avrà mandato a quel paese. Pulito di tutto punto decide di andare a prendersi il latte e così sparisce…è il mio turno, per me solo doccia in un bagno enorme con la bellezza di due box doccia, già di prima mattina sono ad un bivio scegliere il box di destra o quello di sinistra, alla fine dopo lungo pensare opto per quello di sinistra meno utilizzato. Nel frattempo triste e sconsolato Sassoli rientra, il supermercato apre alle 10, va beh in cucina il tedesco sta finendo di lavarsi la tazza, mettiamo su il thé (gentilemente offerto dalla guesthouse) e ce lo sorseggiamo mentre fuori imperversa la tempesta e il mare si infrange sugli scogli. Sistemati i bagagli, si riparte alla scoperta di questo meraviglioso paesino di mare, c’è la casa con il tetto di torba, il mercedes scalcinato.
Proviamo ad andare a vedere le lundi in un isolotto poco distante, qualcuna ci sfreccia davanti ma va a nascondersi nella scogliera sotto ad uno strato di muschio.
Lasciamo a malincuore questo piccolo paradiso alla volta di Elgisstadir dove rifocilliamo le nostre scorte di viveri, e ci diamo alla ricerca di una sim card per la mia macchina fotografica. Troviamo invece, un simpatico nonnino che mi fa vedere delle sim da 1950 corone ma c’è la possibilità di scaricare le foto su un cd a sole 450 corone, scelgo il cd ovviamente, l’omino mi dice anche che posso rivederle per essere sicuri, forse ha visto il mio sguardo preoccupato dal cancellarle dalla macchina. Tutto ok, si va alla volta di Seydisfjordur, che ci appare dopo una salita tra le nebbie islandesi. La vista è memorabile arroccato alla fine della gola. Ci indirizziamo subito a percorrere i 16 km. che ci separano dall’oceano, punteggiati di casette, camion abbandonati (la passione di Sassoli) cani che ci rincorrono e pecore. Ritorniamo in paese ci rifocilliamo con panini, cappuccino e tè e assaggiamo la torta di mele che effettivamente di mele ha poco, ci trovo un kiwi, l’ananas: una mattonata da digerire, mi ci vogliono 2 ore. Andiamo a visitare la chiesetta alla quale non si sarebbero date due lire e invece si rivela magnifica. Tutta di legno con imbottiture e profili blu, dove si respira un’aria di abitazione più che da chiesa. L’organo che sovrasta l’entrata, la balconata su entrambi i lati e l’altare illuminato dalle due finestre posizionate dietro.
Anche da qui ci allontaniamo con un felice ricordo nel cuore.
Si ritorna per l’ennesima volta ad Egilsstadir per prendere la route 92 direzione Reykjarfjordur che oltrepassiamo per raggiungere la meta di quest’oggi.
Attraversiamo anche Eskifjordur, che visiteremo domani e via dritti come treni verso Neskaupstadur. Dobbiamo attraversare prima il vallico più alto d’Islanda con una galleria di 630 mt. ad una corsia senza sapere se all’altro lato qualcuno è entrato…con le dita incrociate passimao indenni, ancora qualche curva ed eccolo spuntare. Per cercare una sistemazione alla fine l’abbiamo già visitato tutto, per stanotte si dorme in tenda (speriamo bene). Piantiamo a fondo i paletti, sistemiamo i sacchi a pelo e speriamo che non piova.
Certo la vista è ineguagliabile, l’oceano, le montagne, lo starnazzare dei gabbiani, il fruscio del vento tra gli alberi che abbiamo scelto come paravento, il fischio delle navi che entrano in porto.C’è poco da dire…questa è l’Islanda!
venerdì 14 settembre 2007
diario: 13 agosto
Holl km. 44069- Borgarfjordur Eystri km 44371
Sul tavolo c’è una colazione immane; evidentemente la signora deve esseresi alzata molto presto, aver messo il centrotavola al punto giusto, disposto le marmellate fatte in casa negli appositi vasettini e via d’intorno gli affettati. Il gioco a questo punto era fatto, bastava solo verificare se il memory book era al suo posto con la penna d’ordinanza sfilante accanto e godersi lo spettacolo, saggiare il gradimento delle 3 marmellate (rabarbaro, mirtillo e arancia) rappresentava un divertimento puro per la scafata signora, autorevole quanto basta.
Lo spettacolo è riuscito ed è riuscito talmente bene che sono sceso dalla jeep, ho aperto il piccolo cancelletto celeste pastello, varcato la porta e ….invece di trovarmi davanti la tosta signora, ho trovato l’ingresso vuoto. Dalla cucina proveniva una musica, roba americana anni 50, sicchè ho approfittato dell’assenza totale per guardare ancora dentro, soffermarmi sulle tendine bianche trinate, la moquette rossa. Allora ho preferito non chiamare nessuno per salutare, ho semplicemente socchiuso la porta per lasciare intatto il ricordo, per immaginare i 2 vecchietti ai loro inverni e ho sorriso pensando di non vederli mai più.
Dettifoss e il canyon di Asbyrgi ci aspettano ed effettivamente dopo infiniti chilometri di strade terribili li vediamo. La prima è una possente cascata i cui zampilli si vedono da 1 km., il secondo è un roccione a ferro di cavallo che serpeggia tra le betulle, notevoli entrambi.
Riprendiamo la strada accidentata per raggiungere Egilsstadir e lì decidere se continuare verso Borgarfjordur Eystri. Durante quest’eterna traversata analizziamo i nostri rispettivi caratteri, le varie sfacettature positive e negative, mentre fuori dai finestrini sfila una splendida vallata verde tagliata da un fiume.
Arrivati ad Egilsstadir facciamo l’ennesima spesa da bonus solo per soddisfare una voglia alimentare: il risotto. Cerchiamo la strada 94 per andare a Borgarfjordur ma nessun cartello ce la indica, così chiediamo aiuto ad un vecchietto che sta facendo benzina. Prima di aiutarci inforca gli occhiali e in uno spettacolare inglese ci indica la strada per Seydisfjordur…qui qualcosa non torna, chiediamo allora all’unico autista che non parla inglese e anche lui indica quella strada, quindi è di li che si passa! E infatti è proprio quella giusta.
Sassoli vuole la salita…e dopo un paio di km. ecco che la strada sale, si vede l’oceano blu ai piedi della montagna… continua la salita avvolti nella nebbia giriamo intorno alla cima ed eccolo spuntare… laggiù il piccolo paesino di Borgarfjordur Eystri. Ci avviciniamo…ma sono solo 2 case e infatti costeggiamo l’oceano sconfinato e un paio di km a nord eccolo finalemente, un grazioso paesetto di mare molto colorato, riparato dalla montagna e di fronte l’oceano…a dir poco meraviglioso. Cerchiamo il centro civico per dormire, una ragazzotta dice che non è li ma in una casa grigia poco distante che è già aperta…come aperta? Senza chiave? Non c’è proprio nessuno da queste parti, la criminalità è pari a zero.
All’interno c’è solo un signore tedesco, la camera è semplice ma carina, affacciata sull’oceano, la cucina è enorme con un tavolo ovale. Ci diamo subito alla cucina, risotto formaggio e prosciutto, wusterl e senape, e quattro chiacchere con il sig. tedesco che dice di viaggiare da solo dal 1976!!!
Sul tavolo c’è una colazione immane; evidentemente la signora deve esseresi alzata molto presto, aver messo il centrotavola al punto giusto, disposto le marmellate fatte in casa negli appositi vasettini e via d’intorno gli affettati. Il gioco a questo punto era fatto, bastava solo verificare se il memory book era al suo posto con la penna d’ordinanza sfilante accanto e godersi lo spettacolo, saggiare il gradimento delle 3 marmellate (rabarbaro, mirtillo e arancia) rappresentava un divertimento puro per la scafata signora, autorevole quanto basta.
Lo spettacolo è riuscito ed è riuscito talmente bene che sono sceso dalla jeep, ho aperto il piccolo cancelletto celeste pastello, varcato la porta e ….invece di trovarmi davanti la tosta signora, ho trovato l’ingresso vuoto. Dalla cucina proveniva una musica, roba americana anni 50, sicchè ho approfittato dell’assenza totale per guardare ancora dentro, soffermarmi sulle tendine bianche trinate, la moquette rossa. Allora ho preferito non chiamare nessuno per salutare, ho semplicemente socchiuso la porta per lasciare intatto il ricordo, per immaginare i 2 vecchietti ai loro inverni e ho sorriso pensando di non vederli mai più.
Dettifoss e il canyon di Asbyrgi ci aspettano ed effettivamente dopo infiniti chilometri di strade terribili li vediamo. La prima è una possente cascata i cui zampilli si vedono da 1 km., il secondo è un roccione a ferro di cavallo che serpeggia tra le betulle, notevoli entrambi.
Riprendiamo la strada accidentata per raggiungere Egilsstadir e lì decidere se continuare verso Borgarfjordur Eystri. Durante quest’eterna traversata analizziamo i nostri rispettivi caratteri, le varie sfacettature positive e negative, mentre fuori dai finestrini sfila una splendida vallata verde tagliata da un fiume.
Arrivati ad Egilsstadir facciamo l’ennesima spesa da bonus solo per soddisfare una voglia alimentare: il risotto. Cerchiamo la strada 94 per andare a Borgarfjordur ma nessun cartello ce la indica, così chiediamo aiuto ad un vecchietto che sta facendo benzina. Prima di aiutarci inforca gli occhiali e in uno spettacolare inglese ci indica la strada per Seydisfjordur…qui qualcosa non torna, chiediamo allora all’unico autista che non parla inglese e anche lui indica quella strada, quindi è di li che si passa! E infatti è proprio quella giusta.
Sassoli vuole la salita…e dopo un paio di km. ecco che la strada sale, si vede l’oceano blu ai piedi della montagna… continua la salita avvolti nella nebbia giriamo intorno alla cima ed eccolo spuntare… laggiù il piccolo paesino di Borgarfjordur Eystri. Ci avviciniamo…ma sono solo 2 case e infatti costeggiamo l’oceano sconfinato e un paio di km a nord eccolo finalemente, un grazioso paesetto di mare molto colorato, riparato dalla montagna e di fronte l’oceano…a dir poco meraviglioso. Cerchiamo il centro civico per dormire, una ragazzotta dice che non è li ma in una casa grigia poco distante che è già aperta…come aperta? Senza chiave? Non c’è proprio nessuno da queste parti, la criminalità è pari a zero.
All’interno c’è solo un signore tedesco, la camera è semplice ma carina, affacciata sull’oceano, la cucina è enorme con un tavolo ovale. Ci diamo subito alla cucina, risotto formaggio e prosciutto, wusterl e senape, e quattro chiacchere con il sig. tedesco che dice di viaggiare da solo dal 1976!!!
diario: 12 agosto
Reykjahlid km. 43733-Holl km. 44069
La missione sull’Askja è riuscita.
Dovrebbe essere una notizia da prima pagina del Reykjavik’s Time , anche perché in Islanda non succede niente da almeno 2 mesi, se togliamo quell’imbianchino di Vik che ha ridipinto col bianco le colonne di basalto della spiaggia, ed è stato inseguito fino ad Hofn e poi linciato dalla frangia ambientalista di Husavik.
Insomma l’impresa Askja è iniziata in tarda mattinata quasi per sbaglio, complice il suggestivo cartello stardale che ci ha dolcemente introdotto a penetrare questo mondo oscuro.
Dapprima monotone sabbie, poi montagne a strapiombo sulle rocce di lava, poi il nulla, il fumo che fuoriesce dalle grotte nere e infine il mondo dell’Askja, grandi dune nere che ora si riempiono di neve.
Sta iniziando la tormenta e basta un minuto per osservare rapiti la verde caldera che già si deve ripartire, con il k-way, il poncho, l’ombrello…eppure non bastano del tutto a placare la furia della neve.
Io sono quasi al capolinea, bagnato da capo a piedi, le mani rigide, l’uso della parola è parziale. La Callegaro, pur avendo ripetutamente imprecato in veneziano non ha riportato danni. Ripartiamo fermandoci a dormire ad Holl, una fattoria gestita da due teneri anziani.
In seguito scopriamo dai quadretti appesi in tinello che lui ancor baldo giovane l’ha ingravidata e quindi il matrimonio riparatore ha avuto la meglio. Lo stile rustico, i dettagli, la cura estrema di questa casetta di campagna ci lasciano un delizioso ricordo.Gozzovigliamo un po’ con una coppia di milanesi, simpatici compagni di fattoria; poi la notte calerà il sipario, dolce come non mai in questa alcova di fate e gnomi.
La missione sull’Askja è riuscita.
Dovrebbe essere una notizia da prima pagina del Reykjavik’s Time , anche perché in Islanda non succede niente da almeno 2 mesi, se togliamo quell’imbianchino di Vik che ha ridipinto col bianco le colonne di basalto della spiaggia, ed è stato inseguito fino ad Hofn e poi linciato dalla frangia ambientalista di Husavik.
Insomma l’impresa Askja è iniziata in tarda mattinata quasi per sbaglio, complice il suggestivo cartello stardale che ci ha dolcemente introdotto a penetrare questo mondo oscuro.
Dapprima monotone sabbie, poi montagne a strapiombo sulle rocce di lava, poi il nulla, il fumo che fuoriesce dalle grotte nere e infine il mondo dell’Askja, grandi dune nere che ora si riempiono di neve.
Sta iniziando la tormenta e basta un minuto per osservare rapiti la verde caldera che già si deve ripartire, con il k-way, il poncho, l’ombrello…eppure non bastano del tutto a placare la furia della neve.
Io sono quasi al capolinea, bagnato da capo a piedi, le mani rigide, l’uso della parola è parziale. La Callegaro, pur avendo ripetutamente imprecato in veneziano non ha riportato danni. Ripartiamo fermandoci a dormire ad Holl, una fattoria gestita da due teneri anziani.
In seguito scopriamo dai quadretti appesi in tinello che lui ancor baldo giovane l’ha ingravidata e quindi il matrimonio riparatore ha avuto la meglio. Lo stile rustico, i dettagli, la cura estrema di questa casetta di campagna ci lasciano un delizioso ricordo.Gozzovigliamo un po’ con una coppia di milanesi, simpatici compagni di fattoria; poi la notte calerà il sipario, dolce come non mai in questa alcova di fate e gnomi.
diario: 11 agosto
Akureyri km. 43539-Reykjahlid km. 43733
L’ennesimo tentativo di far fuori la Callegaro è fallito; questa ragazza è davvero un panzer tedesco, come si definisce lei; resiste praticamente a tutto, raid aerei, terremoti, tsunami.
Devo trovare il modo di annegarla ma ormai Husavik è lontana e darla in pasto alle balene non è più possibile.
Il vento e la pioggia quasi cancellano Akureyri, pittoresca cittadina che qui è considerata la nostra Milano. Della metropoli ha davvero ben poco, fatta eccezione per il Dautinn, ristorante cosmopolita del centro. I vialetti alberati che si diramano a raggiera sul verde crinale sono disseminati di splendide case in stile coloniale dove ogni dettaglio è al suo posto, compresa la finestrella della camera dei bambini, così poetica, appena sospesa sotto il tetto.
Akureyri sembra la città delle saghe, ha un calore più che mai natalizio, un clima domestico che fa immaginare lunghi inverni al caldo dentro le coperte, con i tetti saccheggiati di neve e la sistola per il giardino fuori uso dal ghiaccio, un altro pianeta, diverso eccome da Reykjavik, un placido nido di colori e calore.
Il mattino è inoltrato, 2 minuti per vedere Godafoss, cascatella di un certo impatto e ora verso Mivatn e ancora un altro tentativo fallito di gettare la Calle nella furia delle acque, ha le scarpe ultraaderenti sta qua!!
Rassegnatomi continuo da solo verso Mivatn ma è solo una sensazione, la Calle è ancora accanto a me, sta leggendo a velocità supersonica tutti i bed & breakfast del luogo ed ha intenzione di chiedere a tutti finchè non scenderà sotto le 3000 corone in due, il che significa condividere la camera con altri 6 sconosciuti, dormire al terzo piano di un letto a castello e aspettare di cenare prima che i tedeschi abbiamo finito il barbecue per i pargoli. Questa non è vita!
Nonostante la soddisfazione infinita di fare la spesa allo “strax” che per qualità delle arringhe vince sul “bonus”.
Tra i luoghi visitati, dal craterino mivatn, alle solfatare di Namfjall, sulle due, menzione la merita la terza, Krafla, zona vulcanica dai colori iridescenti, resa ancor più memorabile da un' ascensione al cratere da brividi. Callegaro ancora in gran forma, che sta per prepararmi spaghetti al pesto e salmone affumicato, sempre dopo il barbecue dei tedeschi, s’intende!
Cena luculliana in quel di Reykjahild, spaghettini (tanto odiati da Sassoli) che sono appena un po’ collosi con il pesto prodotto in Italia da una ditta di Stoccolma. Tostiamo il pane nero, spalmato di burro e abbondante salmone islandese. E per colmare le voglie, Sassoli innaffia il tutto con un bel bicchiere di latte, che in verità si rivela essere yogurt, tra l’altro un gran buon yogurt.Condiamo la nostra cenetta con un’allegra chiaccherata con i nostri compagni di stanza, due inglesi del nord (vicino Manchester) che se la stanno girando in bicicletta.
L’ennesimo tentativo di far fuori la Callegaro è fallito; questa ragazza è davvero un panzer tedesco, come si definisce lei; resiste praticamente a tutto, raid aerei, terremoti, tsunami.
Devo trovare il modo di annegarla ma ormai Husavik è lontana e darla in pasto alle balene non è più possibile.
Il vento e la pioggia quasi cancellano Akureyri, pittoresca cittadina che qui è considerata la nostra Milano. Della metropoli ha davvero ben poco, fatta eccezione per il Dautinn, ristorante cosmopolita del centro. I vialetti alberati che si diramano a raggiera sul verde crinale sono disseminati di splendide case in stile coloniale dove ogni dettaglio è al suo posto, compresa la finestrella della camera dei bambini, così poetica, appena sospesa sotto il tetto.
Akureyri sembra la città delle saghe, ha un calore più che mai natalizio, un clima domestico che fa immaginare lunghi inverni al caldo dentro le coperte, con i tetti saccheggiati di neve e la sistola per il giardino fuori uso dal ghiaccio, un altro pianeta, diverso eccome da Reykjavik, un placido nido di colori e calore.
Il mattino è inoltrato, 2 minuti per vedere Godafoss, cascatella di un certo impatto e ora verso Mivatn e ancora un altro tentativo fallito di gettare la Calle nella furia delle acque, ha le scarpe ultraaderenti sta qua!!
Rassegnatomi continuo da solo verso Mivatn ma è solo una sensazione, la Calle è ancora accanto a me, sta leggendo a velocità supersonica tutti i bed & breakfast del luogo ed ha intenzione di chiedere a tutti finchè non scenderà sotto le 3000 corone in due, il che significa condividere la camera con altri 6 sconosciuti, dormire al terzo piano di un letto a castello e aspettare di cenare prima che i tedeschi abbiamo finito il barbecue per i pargoli. Questa non è vita!
Nonostante la soddisfazione infinita di fare la spesa allo “strax” che per qualità delle arringhe vince sul “bonus”.
Tra i luoghi visitati, dal craterino mivatn, alle solfatare di Namfjall, sulle due, menzione la merita la terza, Krafla, zona vulcanica dai colori iridescenti, resa ancor più memorabile da un' ascensione al cratere da brividi. Callegaro ancora in gran forma, che sta per prepararmi spaghetti al pesto e salmone affumicato, sempre dopo il barbecue dei tedeschi, s’intende!
Cena luculliana in quel di Reykjahild, spaghettini (tanto odiati da Sassoli) che sono appena un po’ collosi con il pesto prodotto in Italia da una ditta di Stoccolma. Tostiamo il pane nero, spalmato di burro e abbondante salmone islandese. E per colmare le voglie, Sassoli innaffia il tutto con un bel bicchiere di latte, che in verità si rivela essere yogurt, tra l’altro un gran buon yogurt.Condiamo la nostra cenetta con un’allegra chiaccherata con i nostri compagni di stanza, due inglesi del nord (vicino Manchester) che se la stanno girando in bicicletta.
diario:10 agosto
Kidagil km. 43307-Akureyri km. 43539
Come riemersi da un mare di verde ascoltiamo il mattino qui a Kidagil. Miinuscolo punto di sosta delimitato dal simpatico cancello rossastro posto all’entrata.
E’ bello sostare in quest’angolo remoto d’Islanda dopo le intemperie di Sprengisandur, dove al posto di aspri speroni rocciosi trovani spazio immense vallate di verde. E’ altrettanto “consolidante” constatare lo stato di totale autismo dei 2 titolari della pensioncina; lei è sui 30 anni, capelli appena tinti in bagno, aria da pianista fallita e una certa insoddisfazione di fondo, lui è un’hacker che strizza l’occhio al baseball e mangia pop corn.
Insomma sono di una bellezza infinita questi 2, straordinariamente anormali!
Colazione frugale e poi si accendono di nuovo i motori, la strada è stretta, cavalcarla con la santa fe è avventuroso, basterebbe una minima distrazione per andare sul ghiaino e finire di sotto ma sfilo dritto, ben stretto il volante, sguardo dritto.
Verso mezzogiorno ci appare Husavik, adagiata su dolci scogliere dai capelli verdi; è il principale centro di whale watching.
E noi neanche a dirlo ci caliamo nei panni del capitano Acab alla ricerca disperata di Moby Dick. A mezzogiorno e un quarto salpiamo, molliamo gli ormeggi e via verso l’oceano aperto. Per circa un’ora ci fanno compagnia gabbiani e le lundi. Incrociamo un’altra squadra di piccoli Acab che brinda felice e ci saluta, questo ci fa ben sperare. La ragazza a capo di questo vascello ci dice che siamo quasi arrivati nel punto giusto di guardarsi intorno. Assieme a noi c’è un’altra imbarcazione che scruta l' orizzonte e un’altra in cui c’è pure una troupe televisiva. Ma eccola spuntare laggiù tra le onde, fa un piccolo balzo e si rituffa nelle profondità marine. Il nostro capitano, un vecchio lupo di mare con i capelli bianchi e la barba incolta di qualche giorno, si getta all’inseguimento, eccola spuntare di nuovo placida ed elegante nella sua andatura. Ci soffia l’aria e poi sfila con la pinna dorsale e infine la coda e si reimmerge. Tutte e 3 le barche seguono da vicino i suoi movimenti una quarantina di persone scruta l’orizzonte del mare piatto davanti a noi, ma eccola di nuovo, stesso placido nuotare, non sembra si tratti di un mammifero di 15 tonnellate, lei è pacifica e beata, trasmette un’incredibile calma.
Il nostro tempo è scaduto bisogna rientrare, peccato era così bella la nostra Moby dick.
Sulla via del ritorno il cicaleccio festante dell’andata è tramutato in silenzio riflessivo, ognuno pensa ai fatti suoi, chi alla balena appena vista, chi a cosa mangerà stasera; gli animi si riaccendono un po’ quando ci viene servita cioccolata e ciambella alla cannella.
Lascaita la balena in alto mare, andiamo alla visita della città… c’è ben poco da vedere, la chiesetta verdina di fronte al porto, il negozietto di souvenir dal quale scappiamo in fretta visto che è invaso da un gruppo di italiani urlanti.
Ci si rimette in macchina, proseguiamo la costa per vedere un po‘ di panorama poi inversione a “u” e ci si dirige verso Akureyri.
La vallata che ci porta alla seconda città d’Islanda è tutta un verdeggiare di campi incontaminati dove ogni tanto spunta un casale coloratissimo. Abbiamo davanti a noi una strada in salita mezza ammantata da una nuvola e in mezzo a questa foschia ecco spuntare Akureyri, di primo acchito ci fa una gran bella impressione.
Queste casine casolorate una diversa dall’altra, il porto, è proprio una gran bella cittadina. Qualche tentativo per trovare una sistemazione per la notte e poi si esce alla scoperta della città.
Anche per mangiare non è semplice, chi è pieno, chi troppo costoso, alla fine optiamo per un ristorantino che alla fin fine non è niente male.
Unica nota dolente è che il buon Sassoli va ad alimentarsi di ciò di più bello abbiamo visto oggi…la balena!!!!Per smaltire questo lauto pranzo cosa c’è di meglio di una bella passeggiatina? Niente se non si mettesse a piovere sul più bello e si cominciano a surriscaldare gli animi.
Come riemersi da un mare di verde ascoltiamo il mattino qui a Kidagil. Miinuscolo punto di sosta delimitato dal simpatico cancello rossastro posto all’entrata.
E’ bello sostare in quest’angolo remoto d’Islanda dopo le intemperie di Sprengisandur, dove al posto di aspri speroni rocciosi trovani spazio immense vallate di verde. E’ altrettanto “consolidante” constatare lo stato di totale autismo dei 2 titolari della pensioncina; lei è sui 30 anni, capelli appena tinti in bagno, aria da pianista fallita e una certa insoddisfazione di fondo, lui è un’hacker che strizza l’occhio al baseball e mangia pop corn.
Insomma sono di una bellezza infinita questi 2, straordinariamente anormali!
Colazione frugale e poi si accendono di nuovo i motori, la strada è stretta, cavalcarla con la santa fe è avventuroso, basterebbe una minima distrazione per andare sul ghiaino e finire di sotto ma sfilo dritto, ben stretto il volante, sguardo dritto.
Verso mezzogiorno ci appare Husavik, adagiata su dolci scogliere dai capelli verdi; è il principale centro di whale watching.
E noi neanche a dirlo ci caliamo nei panni del capitano Acab alla ricerca disperata di Moby Dick. A mezzogiorno e un quarto salpiamo, molliamo gli ormeggi e via verso l’oceano aperto. Per circa un’ora ci fanno compagnia gabbiani e le lundi. Incrociamo un’altra squadra di piccoli Acab che brinda felice e ci saluta, questo ci fa ben sperare. La ragazza a capo di questo vascello ci dice che siamo quasi arrivati nel punto giusto di guardarsi intorno. Assieme a noi c’è un’altra imbarcazione che scruta l' orizzonte e un’altra in cui c’è pure una troupe televisiva. Ma eccola spuntare laggiù tra le onde, fa un piccolo balzo e si rituffa nelle profondità marine. Il nostro capitano, un vecchio lupo di mare con i capelli bianchi e la barba incolta di qualche giorno, si getta all’inseguimento, eccola spuntare di nuovo placida ed elegante nella sua andatura. Ci soffia l’aria e poi sfila con la pinna dorsale e infine la coda e si reimmerge. Tutte e 3 le barche seguono da vicino i suoi movimenti una quarantina di persone scruta l’orizzonte del mare piatto davanti a noi, ma eccola di nuovo, stesso placido nuotare, non sembra si tratti di un mammifero di 15 tonnellate, lei è pacifica e beata, trasmette un’incredibile calma.
Il nostro tempo è scaduto bisogna rientrare, peccato era così bella la nostra Moby dick.
Sulla via del ritorno il cicaleccio festante dell’andata è tramutato in silenzio riflessivo, ognuno pensa ai fatti suoi, chi alla balena appena vista, chi a cosa mangerà stasera; gli animi si riaccendono un po’ quando ci viene servita cioccolata e ciambella alla cannella.
Lascaita la balena in alto mare, andiamo alla visita della città… c’è ben poco da vedere, la chiesetta verdina di fronte al porto, il negozietto di souvenir dal quale scappiamo in fretta visto che è invaso da un gruppo di italiani urlanti.
Ci si rimette in macchina, proseguiamo la costa per vedere un po‘ di panorama poi inversione a “u” e ci si dirige verso Akureyri.
La vallata che ci porta alla seconda città d’Islanda è tutta un verdeggiare di campi incontaminati dove ogni tanto spunta un casale coloratissimo. Abbiamo davanti a noi una strada in salita mezza ammantata da una nuvola e in mezzo a questa foschia ecco spuntare Akureyri, di primo acchito ci fa una gran bella impressione.
Queste casine casolorate una diversa dall’altra, il porto, è proprio una gran bella cittadina. Qualche tentativo per trovare una sistemazione per la notte e poi si esce alla scoperta della città.
Anche per mangiare non è semplice, chi è pieno, chi troppo costoso, alla fine optiamo per un ristorantino che alla fin fine non è niente male.
Unica nota dolente è che il buon Sassoli va ad alimentarsi di ciò di più bello abbiamo visto oggi…la balena!!!!Per smaltire questo lauto pranzo cosa c’è di meglio di una bella passeggiatina? Niente se non si mettesse a piovere sul più bello e si cominciano a surriscaldare gli animi.
diario: 9 agosto
Laugarvatn km. 42917-Kidagil km. 43307
Il risveglio è tra i più comici, in una sala da ballo stile flashdance con lo specchio alla parete di fondo, la sbarra, siamo i “ginger e fred” della situazione. Ci siamo solo noi con i nostri sleeping bag in questa lunga sala. Alle finestre un pallido sole, ahimé verso il mare. Nella sala comune c’è già un folto gruppo di tedeschi (almeno sembrano) che cicalecciano allegri. Ci sentiamo molto poco forniti con il nostro succo d’arancia e biscottini al cioccolato, loro sfoggiano attrezzi tra i più strani: un taglia formaggio che assomiglia molto al nostro pelapatate, colini delle più svariate forme e misure per prepararsi un’annaquato caffè…
Eh va bhè noi nel nostro piccolo ci siamo in questa vasta e splendida Islanda!
Ci laviamo i denti, abbandoniamo la nostra sala da ballo direzione Geysir.
Primi approcci con la vita islandese…fare benzina…innanzitutto non usano contanti ma una carta prepagata. La pompa is broken…mannaggia a Sassoli prende la smania di fare benzina e va in crisi… prossima pompa a Geysir 20 km di distanza, e va beh tanto ci dobbiamo andare.
5000 corone per 40 litri scarsi…per paura di restare senza.. Sassoli ne compra subito un’altra (di carta). Ora che il problema è risolto ci dirigiamo a vedere i geyser. Una visita al vecchio geysur che ormai è andato in pensione mentre 5 metri più in la c’è il giovane Strokkur che colpisce ogni 5/10 minuti. Staimo li in contemplazione della vasca ribollente con un altro centinaio di persone, e pensare che è una delle mete più visitate??
Altra meta molto ambita è la cascata di Gullfoss dire impetuosa è poco c’è un primo salto di qualche metro verso destra e poi tutto si convoglia a sinistra per un altro slato che finisce dentro ad un canyon. Il rumore è assordante ma la bellezza ne compensa il fragore.
Piccola incursione di qualche km nel Kjolur per calmare l’animo avventuriero di sassoli poi desinazione Lanndamalaugar per poi domani prendere l’autobus per lo Sprengisandur.
Nella breve distanza che ci separa però cambiano i piani… al bivio per Landamalaugar non giriamo si prosegue dritto “Andiamo a sentire com’è la strada casomai torniamo indietro…” le ultime parole famose di Sassoli… A Hrauneyjar, ultimo avamposto prima della F26, una ranger alquanto tarchiata e imponente con uno sguardo angelico dice che lo sprengisandur is easy…lo dici tu bella mia!!!!
Riempiamo di nuovo il serbatoio (5 litri) altrimenti Sassoli s’agita, svaligiamo il vicino Stark con provviste per un mese e con una fifa da far paura ci inoltriamo nella mitica F26 e già si comincia a sballonzolare tra le buche e i sassi. Una mezz’oretta circa e siamo a Versallir. Lasciate ogni speranza o voi che entrate! Diceva Dante e qui si adatta a meraviglia, la strada si fa ancora più impervia ma noi imperterriti puntiamo il muso della nostra santa fe verso il lago Mivatn. Lo spettacolo che si apre ai nostri occhi è indescrivibile. Intorno al lago Porsivatn verdeggia rigogliosa la natura. Qualche decina di km ed è ora dei ghiacciai, alla nostra destra c’è il Vatnajokull mentre a sinistra l’Hofsjokull subito a ridosso della pista battuta intatno il verde lascia il posto al nero vulcanico, poi alla sabbia, poi alle rocce. E’ un’alternarsi di cambiamenti nel paesaggio e di sensazioni che i nostri occhi e le nostre anime percepiscono. In mezzo a questa meraviglia si raggiunge l’ultimo rifugio della pista, il Tungnafellskali qualche metro e… ops… un fiume da guadare di ragguardevole entità, indecisi sul da farsi torniamo al rifugio e chiediamo consiglio. Ci accoglie un bel cane color champagne in cerca di coccole. Mettiamo il naso in un ufficietto dove un signore di una 60ina d’anni e un giovane allampanato discutono in islandese. Chiediamo del fiume, it’s little ci dicono, possiamo passare tranquillamente, la fanno semplice loro, Sassoli si rimette al volante, innesta la prima e via dritto come un ariete a metà guado, la macchina segue appena la corrente con una piccola accellerata si raggiunge l’altra riva, Sassoli raggiante si lancia in un grido liberatore, ora si può proseguire…
Alla nostra destra, intanto, si staglia maestoso il ghiacciaio Tungnafelljokull è così vicino che si può toccare, intorno a noi la natura cambia ancora dal nero vulcanico, si passa al grigio, una lunga distesa di colline grigie, sassi e nessun tipo di vegetazione.
Ed eccoci al bivio per Laugafell, da qui mancano solo 60 km alla fine di questa bella avventura. Il grigio diventa dapprima rosso, poi di nuovo nerastro. Intanto altri fiumi tagliano il nostro cammino ma ormai Sassoli ha il pieno controllo delle forza della natura. Incontriamo anche diversi altri veicoli, rigorosamente tutti 4x4, con i quali scambiamo sorrisi e gesti di saluto (questa è solidarietà stradale).
E’ ormai l’imbrunire, tutto intorno a noi acquista i colori sfumati nelle tonalità calde del giallo e del rosso tipiche di questo orario e ciò che ci circonda acquista qualcosa di ancora più magico di quel che è già.
Il nero lascia di nuovo il posto al verde ciò ci fa suppore che forse ci siamo, infatti ecco comparire all’orizzonte qualche capra, pecora o montone (non lo sappiamo con l’esattezza) un po ‘incuriosite che annusano l’aria e ci guardano come a dire “ehi voi, che ci fate qui a quest’ora?” eh si ci siamo quasi laggiù in lontananza sembra spuntare qualche luce di abitazioni. Il verde si fa sempre più intenso e la strada scende sempre di più a valle. Ecco un altro fiume, non è da guadare c’è un ponticello qualche metro e c’è un cancello chiuso ad attenderci. Rimaniamo interdetti e sorridenti scendiamo ad aprirlo e poi a richiuderlo. Sembra quasi che quel cancello serva a non far uscire niente di tutto quello di meraviglioso c’è all’interno della pista F26 e che solo chi ha visto può apprezzare e capire.
Incontriamo alcuni paeselli (2 case e 1 chiesa), Sassoli in evidente stato di stanchezza fisica dopo aver guidato per circa 7 ore nelle peggiori condizioni opta per cercare qualcosa di decente per riposare le stanche mebra ed eccolo accontentato. Alla nostra sinistra spunta un…non sappiamo bene cosa sia. Un ragazzo lungo quasi 2 metri sfoggia una maglietta di Buffon, un cappellino sotto al quale qualche ciocca ribelle fuoriesce. Ci chiede se abbiamo gli sleeping bag…eh certo che ce li abbiamo…affare fatto stanotte si dorme qui. Sassoli si riprende con una birra islandese e poi crolla con un’espressione beata sul viso di chi ha visto cose meravigliose!
Il risveglio è tra i più comici, in una sala da ballo stile flashdance con lo specchio alla parete di fondo, la sbarra, siamo i “ginger e fred” della situazione. Ci siamo solo noi con i nostri sleeping bag in questa lunga sala. Alle finestre un pallido sole, ahimé verso il mare. Nella sala comune c’è già un folto gruppo di tedeschi (almeno sembrano) che cicalecciano allegri. Ci sentiamo molto poco forniti con il nostro succo d’arancia e biscottini al cioccolato, loro sfoggiano attrezzi tra i più strani: un taglia formaggio che assomiglia molto al nostro pelapatate, colini delle più svariate forme e misure per prepararsi un’annaquato caffè…
Eh va bhè noi nel nostro piccolo ci siamo in questa vasta e splendida Islanda!
Ci laviamo i denti, abbandoniamo la nostra sala da ballo direzione Geysir.
Primi approcci con la vita islandese…fare benzina…innanzitutto non usano contanti ma una carta prepagata. La pompa is broken…mannaggia a Sassoli prende la smania di fare benzina e va in crisi… prossima pompa a Geysir 20 km di distanza, e va beh tanto ci dobbiamo andare.
5000 corone per 40 litri scarsi…per paura di restare senza.. Sassoli ne compra subito un’altra (di carta). Ora che il problema è risolto ci dirigiamo a vedere i geyser. Una visita al vecchio geysur che ormai è andato in pensione mentre 5 metri più in la c’è il giovane Strokkur che colpisce ogni 5/10 minuti. Staimo li in contemplazione della vasca ribollente con un altro centinaio di persone, e pensare che è una delle mete più visitate??
Altra meta molto ambita è la cascata di Gullfoss dire impetuosa è poco c’è un primo salto di qualche metro verso destra e poi tutto si convoglia a sinistra per un altro slato che finisce dentro ad un canyon. Il rumore è assordante ma la bellezza ne compensa il fragore.
Piccola incursione di qualche km nel Kjolur per calmare l’animo avventuriero di sassoli poi desinazione Lanndamalaugar per poi domani prendere l’autobus per lo Sprengisandur.
Nella breve distanza che ci separa però cambiano i piani… al bivio per Landamalaugar non giriamo si prosegue dritto “Andiamo a sentire com’è la strada casomai torniamo indietro…” le ultime parole famose di Sassoli… A Hrauneyjar, ultimo avamposto prima della F26, una ranger alquanto tarchiata e imponente con uno sguardo angelico dice che lo sprengisandur is easy…lo dici tu bella mia!!!!
Riempiamo di nuovo il serbatoio (5 litri) altrimenti Sassoli s’agita, svaligiamo il vicino Stark con provviste per un mese e con una fifa da far paura ci inoltriamo nella mitica F26 e già si comincia a sballonzolare tra le buche e i sassi. Una mezz’oretta circa e siamo a Versallir. Lasciate ogni speranza o voi che entrate! Diceva Dante e qui si adatta a meraviglia, la strada si fa ancora più impervia ma noi imperterriti puntiamo il muso della nostra santa fe verso il lago Mivatn. Lo spettacolo che si apre ai nostri occhi è indescrivibile. Intorno al lago Porsivatn verdeggia rigogliosa la natura. Qualche decina di km ed è ora dei ghiacciai, alla nostra destra c’è il Vatnajokull mentre a sinistra l’Hofsjokull subito a ridosso della pista battuta intatno il verde lascia il posto al nero vulcanico, poi alla sabbia, poi alle rocce. E’ un’alternarsi di cambiamenti nel paesaggio e di sensazioni che i nostri occhi e le nostre anime percepiscono. In mezzo a questa meraviglia si raggiunge l’ultimo rifugio della pista, il Tungnafellskali qualche metro e… ops… un fiume da guadare di ragguardevole entità, indecisi sul da farsi torniamo al rifugio e chiediamo consiglio. Ci accoglie un bel cane color champagne in cerca di coccole. Mettiamo il naso in un ufficietto dove un signore di una 60ina d’anni e un giovane allampanato discutono in islandese. Chiediamo del fiume, it’s little ci dicono, possiamo passare tranquillamente, la fanno semplice loro, Sassoli si rimette al volante, innesta la prima e via dritto come un ariete a metà guado, la macchina segue appena la corrente con una piccola accellerata si raggiunge l’altra riva, Sassoli raggiante si lancia in un grido liberatore, ora si può proseguire…
Alla nostra destra, intanto, si staglia maestoso il ghiacciaio Tungnafelljokull è così vicino che si può toccare, intorno a noi la natura cambia ancora dal nero vulcanico, si passa al grigio, una lunga distesa di colline grigie, sassi e nessun tipo di vegetazione.
Ed eccoci al bivio per Laugafell, da qui mancano solo 60 km alla fine di questa bella avventura. Il grigio diventa dapprima rosso, poi di nuovo nerastro. Intanto altri fiumi tagliano il nostro cammino ma ormai Sassoli ha il pieno controllo delle forza della natura. Incontriamo anche diversi altri veicoli, rigorosamente tutti 4x4, con i quali scambiamo sorrisi e gesti di saluto (questa è solidarietà stradale).
E’ ormai l’imbrunire, tutto intorno a noi acquista i colori sfumati nelle tonalità calde del giallo e del rosso tipiche di questo orario e ciò che ci circonda acquista qualcosa di ancora più magico di quel che è già.
Il nero lascia di nuovo il posto al verde ciò ci fa suppore che forse ci siamo, infatti ecco comparire all’orizzonte qualche capra, pecora o montone (non lo sappiamo con l’esattezza) un po ‘incuriosite che annusano l’aria e ci guardano come a dire “ehi voi, che ci fate qui a quest’ora?” eh si ci siamo quasi laggiù in lontananza sembra spuntare qualche luce di abitazioni. Il verde si fa sempre più intenso e la strada scende sempre di più a valle. Ecco un altro fiume, non è da guadare c’è un ponticello qualche metro e c’è un cancello chiuso ad attenderci. Rimaniamo interdetti e sorridenti scendiamo ad aprirlo e poi a richiuderlo. Sembra quasi che quel cancello serva a non far uscire niente di tutto quello di meraviglioso c’è all’interno della pista F26 e che solo chi ha visto può apprezzare e capire.
Incontriamo alcuni paeselli (2 case e 1 chiesa), Sassoli in evidente stato di stanchezza fisica dopo aver guidato per circa 7 ore nelle peggiori condizioni opta per cercare qualcosa di decente per riposare le stanche mebra ed eccolo accontentato. Alla nostra sinistra spunta un…non sappiamo bene cosa sia. Un ragazzo lungo quasi 2 metri sfoggia una maglietta di Buffon, un cappellino sotto al quale qualche ciocca ribelle fuoriesce. Ci chiede se abbiamo gli sleeping bag…eh certo che ce li abbiamo…affare fatto stanotte si dorme qui. Sassoli si riprende con una birra islandese e poi crolla con un’espressione beata sul viso di chi ha visto cose meravigliose!
diario: 8 agosto
Grindavik km.42753-Laugarvatn km.42917
Se vi capitasse di venire mai in Islanda ricordatevi di comprare un martello pneumatico; può servire per il fissaggio tenda o meglio per conficcare i piolini al di sotto della crosta terrestre.
Quello che è successo verso le 3.40 alla nostra tenda è straziante, alienante, iniquo per qualsiasi turista.
Il vento ha violentemente tolto uno ad uno i pioli dell’ikea che la Giorgia deve aver vinto con i punti del ciocorì, così la Calle si alza scattosa, rimette quel che può e si ridorme. Poi l’inevitabile, il vento colpisce ancora, sta per sfrattare i nostri culi da Grindavik, giusto 1 minuto per scappare evitando di essere gettati chissà dove.
La soluzione più ovvia sembra essere quella di dormire in santa fe, così facciamo; la calle raggomitolata dietro come un sacco d’avena, io in esercizio di stretching sul sedile passeggero. La notte scorre veloce e ci svegliamo alle 9 e mezzo; io accuso una scoliosi diffusa e una deambulazione difficoltosa, la Calle non ha un graffio. Un altro avvertimento se decidete di venire in Islanda è il seguente:
se conoscete una ragazza via chat, chiedete dei suoi trascorsi agonistici, se è stata iscritta al Cai nell’87, se fa uso di atropine, se per caso ha militato nella forestale…in caso affermativo trovate una buona scusa per farvi mollare.
Oggi meta di spicco è Laguna Blu, un grosso calderone di fumanti acque azzurre gremito di turisti o meglio di bagnanti imbranati tipo me. Per acquisire il funzionamento della chiusura deposito bagagli elettrocinetica ho impiegato dai 17 ai 24 minuti; la Calle solo 7 minuti netti ma in compenso è uscita dalle docce in 42 perché aveva memorizzato anche i bagagli di altre 7 persone.
Usciti da questo paradiso termale, incornicito da nere rocce ci avviamo verso Krisuvik, lambendo incredibili scogliere solitarie, desolate lande vulcaniche. Verso Reykjavik facciamo la prima spesa da “Bonus” l’ipermercato locale. L’acquisto è notevole! Pane a cassetta, 3 confezioncine di affettati misti, un succo di frutta e i biscottini al cioccolato per il mattino. Giungiamo a Pingvellir, suggestivo parco tra canyon rocciosi e dune di colline che si perdono all’infinito, per poi terminare la giornata a Laugarvatn, dove un omino ci conduce sgattaiolando a piedi scalzi verso un simpatico ostello.
La Calle è al settimo cielo, ha cucinato tutti i sandwich possibili, invadendo la cucina dell’ostello presa di mira dai tedeschi. Sarà guerra di sicuro ma per ora felice notte.
Se vi capitasse di venire mai in Islanda ricordatevi di comprare un martello pneumatico; può servire per il fissaggio tenda o meglio per conficcare i piolini al di sotto della crosta terrestre.
Quello che è successo verso le 3.40 alla nostra tenda è straziante, alienante, iniquo per qualsiasi turista.
Il vento ha violentemente tolto uno ad uno i pioli dell’ikea che la Giorgia deve aver vinto con i punti del ciocorì, così la Calle si alza scattosa, rimette quel che può e si ridorme. Poi l’inevitabile, il vento colpisce ancora, sta per sfrattare i nostri culi da Grindavik, giusto 1 minuto per scappare evitando di essere gettati chissà dove.
La soluzione più ovvia sembra essere quella di dormire in santa fe, così facciamo; la calle raggomitolata dietro come un sacco d’avena, io in esercizio di stretching sul sedile passeggero. La notte scorre veloce e ci svegliamo alle 9 e mezzo; io accuso una scoliosi diffusa e una deambulazione difficoltosa, la Calle non ha un graffio. Un altro avvertimento se decidete di venire in Islanda è il seguente:
se conoscete una ragazza via chat, chiedete dei suoi trascorsi agonistici, se è stata iscritta al Cai nell’87, se fa uso di atropine, se per caso ha militato nella forestale…in caso affermativo trovate una buona scusa per farvi mollare.
Oggi meta di spicco è Laguna Blu, un grosso calderone di fumanti acque azzurre gremito di turisti o meglio di bagnanti imbranati tipo me. Per acquisire il funzionamento della chiusura deposito bagagli elettrocinetica ho impiegato dai 17 ai 24 minuti; la Calle solo 7 minuti netti ma in compenso è uscita dalle docce in 42 perché aveva memorizzato anche i bagagli di altre 7 persone.
Usciti da questo paradiso termale, incornicito da nere rocce ci avviamo verso Krisuvik, lambendo incredibili scogliere solitarie, desolate lande vulcaniche. Verso Reykjavik facciamo la prima spesa da “Bonus” l’ipermercato locale. L’acquisto è notevole! Pane a cassetta, 3 confezioncine di affettati misti, un succo di frutta e i biscottini al cioccolato per il mattino. Giungiamo a Pingvellir, suggestivo parco tra canyon rocciosi e dune di colline che si perdono all’infinito, per poi terminare la giornata a Laugarvatn, dove un omino ci conduce sgattaiolando a piedi scalzi verso un simpatico ostello.
La Calle è al settimo cielo, ha cucinato tutti i sandwich possibili, invadendo la cucina dell’ostello presa di mira dai tedeschi. Sarà guerra di sicuro ma per ora felice notte.
diario: 7 agosto
Keflavik km 42664-Grindavik km 42753
Il cielo è plumbeo, nordico, l’aria è tesa, secca. Fredda decisamente, fatta eccezione per la sala colazione, discretamente imbandita dal proprietario, un 45enne molto mite che calza a pennello in questa guesthouse, Alfholl, in islandese sarebbe “casa delgi elfi”.
Di certo fiabesca lo è, con il parapetto delle scale bianco candido, la moquette ovunque di un blu intenso, sembra riassumere lo stesso clima “natalizio” della città.
Il pane tostato che schianta dolcemente, il barattolo di marmellata ai mirtilli quasi esaurito, insomma godiamo follemente di questo mattino d’agosto che più invernale non si può.
Ma è ora di partire, Reykjavik ci saluta con le sue casette colorate, con il lago dei cigni appena fuori dal centro e ci riserva anche un piccolo fastidio; alla Calle hanno rubato il “robo”, che nel suo gergo mestrino identifica almeno 57 oggetti, un cane di grossa taglia, il tagliaunghie, il cesto di vimini, il foglietto in chiesa per le preghiere…
In questo caso il robo, come lo chiama lei, era il gancio traino della valigia che probabilmente ha fatto molta gola a un pescatore islandese.
Siamo nel dramma, scene da 400 ostacoli in piena Reykjavik, Mirka piegata a ¾ che spinge in corsa la valigia verso le papere, Sassoli che si inchina di sbieco per portare il ¾ di montone che sta dentro sta cazzo di valigia.
Situazione capovolta, mentre ieri sera era Sassoli in panne, convinto di aver prenotato un’intera magione di pudding al posto di un fuoristrada oggi è la Calle che inconsapevolmente è stata derubata.
La situazione si risolve, Sassoli estrae dallo zaino una vecchia cintura in pelle dell’83, non la usa dall’86 tra l’altro, è l’occasione per dargli lavoro, agganciarla al tir della Callegaro e guidare fino alla bus station.
Ore 14.00 siamo all’aeoroporto in attesa di Magnus, Sassoli comincia a scrivere nei fogli di prenotazione dei voli, messaggi subbliminali per mr. Magnus. Dopo 5 minuti d’attesa è già recalcitrante e vorrebbe telefonargli, gli ricordo che 10 minuti sono canonici, dopo di questi non regge più va alla cabina e chiama, lui dice di essere li in 7 minuti (notare la precisione non 5 o 10 come diremmo noi ma 7 spaccati!!) sbrighiamo le formalità, usciamo, cerchiamo con gli occhi il nostro jinmino, ma non se ne vede l’ombra. Mr. Magnus si ferma davanti ad una Hunday Santa Fe… sorpresa…”the Jymny is not confortable” ci dice Mr. Magnus…lo amiamo sempre di pù, controllo graffi e poi si parte!!!
Ci dirigiamo verso Sandgeroi, ci accolgono cavalli bradi che brucano, pecore stese alla pioggerellina, si arriva a Gardur c’è un faro in punta ad una scogliera nera, nera. Si risale in macchina passiamo l’abitato fantasma con macelleria, barbiere e vecchietto con il benjio in mano (tipo un tranquillo weekend di paura) di Hafnir. Dopo pochi km si apre di fronte a noi la distesa vulcanica di Hafnaberg. Una leggera pioggerellina confonde il Sassoli per la camminata di 30 minuti consigliata dalla Lonely Planet per le scogliere, ma poi si fa prendere dal paesaggio e masso dopo masso si arriva al paradiso. Il sole buca le nuvole, verdi scogliere a picco sul mare si stagliano davanti a noi, lo starnazzare dei gabbiani ci fa da sottofondo musicale. In mezzo a tanti gabbiani, svetta placida la nostra prima pulcinella di mare, bellina con il petto bianco, le zampe rosse e il becco colorato. Lungo tutto il percorso di ritorno filosofeggiamo su cosa potrebbero essere degli strani agglomerati di pietre (robi) disseminati ai lati del sentiero.
Qualche km. ancora e siamo in America…non siamo impazziti ma attraversiamo il punto in cui finisce la placca europea e inizia quella americana.
Eccoci a Reykjansviti dove svetta imponente il faro che si erge sopra una collina verde, alle sue spalle i fiumi di una centrale geotermica, davanti ancora scogliere a picco sul mare con miliardi di nidi di gabbiani e altri simpatici uccelli. Ultima tappa di questa giornata: Grindavik, piccolo villaggio di pescatori.
Cena lucculiana per Sassoli che assaggia l’agnello ma che alleggerisce il suo portafogli in un tipico ristorante arredato completamente in legno. Si monta la tenda in un campeggio deserto tra il vento e una leggera pioggerelina.
Il cielo è plumbeo, nordico, l’aria è tesa, secca. Fredda decisamente, fatta eccezione per la sala colazione, discretamente imbandita dal proprietario, un 45enne molto mite che calza a pennello in questa guesthouse, Alfholl, in islandese sarebbe “casa delgi elfi”.
Di certo fiabesca lo è, con il parapetto delle scale bianco candido, la moquette ovunque di un blu intenso, sembra riassumere lo stesso clima “natalizio” della città.
Il pane tostato che schianta dolcemente, il barattolo di marmellata ai mirtilli quasi esaurito, insomma godiamo follemente di questo mattino d’agosto che più invernale non si può.
Ma è ora di partire, Reykjavik ci saluta con le sue casette colorate, con il lago dei cigni appena fuori dal centro e ci riserva anche un piccolo fastidio; alla Calle hanno rubato il “robo”, che nel suo gergo mestrino identifica almeno 57 oggetti, un cane di grossa taglia, il tagliaunghie, il cesto di vimini, il foglietto in chiesa per le preghiere…
In questo caso il robo, come lo chiama lei, era il gancio traino della valigia che probabilmente ha fatto molta gola a un pescatore islandese.
Siamo nel dramma, scene da 400 ostacoli in piena Reykjavik, Mirka piegata a ¾ che spinge in corsa la valigia verso le papere, Sassoli che si inchina di sbieco per portare il ¾ di montone che sta dentro sta cazzo di valigia.
Situazione capovolta, mentre ieri sera era Sassoli in panne, convinto di aver prenotato un’intera magione di pudding al posto di un fuoristrada oggi è la Calle che inconsapevolmente è stata derubata.
La situazione si risolve, Sassoli estrae dallo zaino una vecchia cintura in pelle dell’83, non la usa dall’86 tra l’altro, è l’occasione per dargli lavoro, agganciarla al tir della Callegaro e guidare fino alla bus station.
Ore 14.00 siamo all’aeoroporto in attesa di Magnus, Sassoli comincia a scrivere nei fogli di prenotazione dei voli, messaggi subbliminali per mr. Magnus. Dopo 5 minuti d’attesa è già recalcitrante e vorrebbe telefonargli, gli ricordo che 10 minuti sono canonici, dopo di questi non regge più va alla cabina e chiama, lui dice di essere li in 7 minuti (notare la precisione non 5 o 10 come diremmo noi ma 7 spaccati!!) sbrighiamo le formalità, usciamo, cerchiamo con gli occhi il nostro jinmino, ma non se ne vede l’ombra. Mr. Magnus si ferma davanti ad una Hunday Santa Fe… sorpresa…”the Jymny is not confortable” ci dice Mr. Magnus…lo amiamo sempre di pù, controllo graffi e poi si parte!!!
Ci dirigiamo verso Sandgeroi, ci accolgono cavalli bradi che brucano, pecore stese alla pioggerellina, si arriva a Gardur c’è un faro in punta ad una scogliera nera, nera. Si risale in macchina passiamo l’abitato fantasma con macelleria, barbiere e vecchietto con il benjio in mano (tipo un tranquillo weekend di paura) di Hafnir. Dopo pochi km si apre di fronte a noi la distesa vulcanica di Hafnaberg. Una leggera pioggerellina confonde il Sassoli per la camminata di 30 minuti consigliata dalla Lonely Planet per le scogliere, ma poi si fa prendere dal paesaggio e masso dopo masso si arriva al paradiso. Il sole buca le nuvole, verdi scogliere a picco sul mare si stagliano davanti a noi, lo starnazzare dei gabbiani ci fa da sottofondo musicale. In mezzo a tanti gabbiani, svetta placida la nostra prima pulcinella di mare, bellina con il petto bianco, le zampe rosse e il becco colorato. Lungo tutto il percorso di ritorno filosofeggiamo su cosa potrebbero essere degli strani agglomerati di pietre (robi) disseminati ai lati del sentiero.
Qualche km. ancora e siamo in America…non siamo impazziti ma attraversiamo il punto in cui finisce la placca europea e inizia quella americana.
Eccoci a Reykjansviti dove svetta imponente il faro che si erge sopra una collina verde, alle sue spalle i fiumi di una centrale geotermica, davanti ancora scogliere a picco sul mare con miliardi di nidi di gabbiani e altri simpatici uccelli. Ultima tappa di questa giornata: Grindavik, piccolo villaggio di pescatori.
Cena lucculiana per Sassoli che assaggia l’agnello ma che alleggerisce il suo portafogli in un tipico ristorante arredato completamente in legno. Si monta la tenda in un campeggio deserto tra il vento e una leggera pioggerelina.
diario: 6 agosto
Reykjavik
Ore 3.37, la Callegaro è in preda al freddo; decide di usare quel che rimane del resto del carlino e coprirsi di giornali, scatta la foto, è uno spettacolo imbarazzante.
Ore 5.16, si sbaracca. Sassoli ha un dolore alla milza che estende fino all’orecchio.
Bastano poche minuti per sgonfiare il cuscino, montare gli anfibi e risalire verso Reykjavik, quasi una città fantasma, uno di quei borghi tanto cari al Moby Dick di Melville in cui tutto sembra statico e privo di vita.
Scendiamo verso il cuore della città attraversati dagli sguardi di ragazzi alticci, calpestando cocci di bottiglia, scavalcando i rivoli di birra che hanno segnato la notte.
Ovunque c’è disordine, grigiore appena riacceso dai colori pastello delle case. Sembra che 2 ore fa sia passata una truppa di soldati affamati, sembra che abbiano fatto razzia e poi lentamente abbandonato queste strade. C’è un senso di alienazione nell’aria, una rassegnazione all’isolamento geografico che si traduce in tanti piccoli dettagli: per fare colazione al Caffè de Paris bisogna aspettare le 9, per leggere un libro pure, per comprare i profilattici non se ne parla neanche, il distributore è in ferie.
Lynch avrebbe volentieri filamto questi 2 sessantenni che bevono thé accanto a noi, che ridono controllati e vestono informali. Sembrano 2 controllori dell’ataf ma forse è solo gente in pensione un po’ rassegnata.
Armati di buone intenzioni ci accingiamo a compiere il tour “a piedi tra palazzi e monumenti” proposto dalla Lonely planet ma per un motivo o per l’altro a neanche metà abbandoniamo e ci dedichiamo alla ricerca di un posto per la notte, alla Salvation Army è tutto full, idem per The metropolitan, in un momento di follia Sassoli entra al Plaza, c’è un’offerta speciale una notte a sole 12.000 corone…si va bèh ciao! Vorremmo andare alla guesthouse più economica di Reykjavik ma è troppo lontana allora ci fermiamo all’Alfholl: la guesthouse dei folletti e delle fate 9.000 corone … ok, è andata la camera è piccina ma carina, con gli gnomi sotto al letto che ci fanno la ninna nanna compresi nel prezzo.
Dopo l’ennesimo su e giù per le strade di Reykjavik abbiamo abbandonato le valigie e ora visita della città, visto che abbiamo scoperto che qui le banche e gli uffici di cambio al lunedì non lavorano…ecco perché stamattina erano tutti sbronzi!!!
Che si mangia? Sassoli vuole a tutti i costi la zuppa…e diamogli sta zuppa con del pane di segale molto interessante.
Finalmente saliamo ai 75 metri dell Hallgrinskjrkia, che panorama gente… tutti i tetti colorati, l’oceano e tanti alberi, ma chi aveva detto che in Islanda non c’erano alberi???!! Beh si sbaglia.
Una passeggiatina accostati all’oceano a contemplare l’infinita distesa blu.
Sassoli ha voglia di libertà quindi giro per negozi: cartoline, souvenir, guiness… entrambi alticci barcolliamo nelle strade fino a che il freddo non ci snebbi la testa.
Seduti su una panchina stiamo individuando chi è islandese e chi invece un turista… oh c’è chi può e chi non può!!
Altra cena per Sassoli altra zuppa, ne è un dipendente sfrenato, io invece toast islandese… prova superata per entrambi.
p.s. dimenticavo, una frase stasera ha sconvolto gli animi del buon Sassoli (mi dispiace non me la ricordo più) bhè quindi si tuffa in un internet point, fruga tra le sue e le mie email alla ricerca di Magnus… alla fine lo chiama ma il nostro amico è un confusionario non si ricorda neanche quello che ha mangiato a pranzo, figuriamoci una mail di 1 settimana fa. Insomma si accroda per trovarci domani alla 14 all’aeroporto, ma non è molto sicuro che lui ci sarà perché…to be continued, alla prossima puntata riuscirà il nostro eroe ad entrare in possesso della Suzuki Jimny? Seguiteci domani su onda Keflavik!
Ore 3.37, la Callegaro è in preda al freddo; decide di usare quel che rimane del resto del carlino e coprirsi di giornali, scatta la foto, è uno spettacolo imbarazzante.
Ore 5.16, si sbaracca. Sassoli ha un dolore alla milza che estende fino all’orecchio.
Bastano poche minuti per sgonfiare il cuscino, montare gli anfibi e risalire verso Reykjavik, quasi una città fantasma, uno di quei borghi tanto cari al Moby Dick di Melville in cui tutto sembra statico e privo di vita.
Scendiamo verso il cuore della città attraversati dagli sguardi di ragazzi alticci, calpestando cocci di bottiglia, scavalcando i rivoli di birra che hanno segnato la notte.
Ovunque c’è disordine, grigiore appena riacceso dai colori pastello delle case. Sembra che 2 ore fa sia passata una truppa di soldati affamati, sembra che abbiano fatto razzia e poi lentamente abbandonato queste strade. C’è un senso di alienazione nell’aria, una rassegnazione all’isolamento geografico che si traduce in tanti piccoli dettagli: per fare colazione al Caffè de Paris bisogna aspettare le 9, per leggere un libro pure, per comprare i profilattici non se ne parla neanche, il distributore è in ferie.
Lynch avrebbe volentieri filamto questi 2 sessantenni che bevono thé accanto a noi, che ridono controllati e vestono informali. Sembrano 2 controllori dell’ataf ma forse è solo gente in pensione un po’ rassegnata.
Armati di buone intenzioni ci accingiamo a compiere il tour “a piedi tra palazzi e monumenti” proposto dalla Lonely planet ma per un motivo o per l’altro a neanche metà abbandoniamo e ci dedichiamo alla ricerca di un posto per la notte, alla Salvation Army è tutto full, idem per The metropolitan, in un momento di follia Sassoli entra al Plaza, c’è un’offerta speciale una notte a sole 12.000 corone…si va bèh ciao! Vorremmo andare alla guesthouse più economica di Reykjavik ma è troppo lontana allora ci fermiamo all’Alfholl: la guesthouse dei folletti e delle fate 9.000 corone … ok, è andata la camera è piccina ma carina, con gli gnomi sotto al letto che ci fanno la ninna nanna compresi nel prezzo.
Dopo l’ennesimo su e giù per le strade di Reykjavik abbiamo abbandonato le valigie e ora visita della città, visto che abbiamo scoperto che qui le banche e gli uffici di cambio al lunedì non lavorano…ecco perché stamattina erano tutti sbronzi!!!
Che si mangia? Sassoli vuole a tutti i costi la zuppa…e diamogli sta zuppa con del pane di segale molto interessante.
Finalmente saliamo ai 75 metri dell Hallgrinskjrkia, che panorama gente… tutti i tetti colorati, l’oceano e tanti alberi, ma chi aveva detto che in Islanda non c’erano alberi???!! Beh si sbaglia.
Una passeggiatina accostati all’oceano a contemplare l’infinita distesa blu.
Sassoli ha voglia di libertà quindi giro per negozi: cartoline, souvenir, guiness… entrambi alticci barcolliamo nelle strade fino a che il freddo non ci snebbi la testa.
Seduti su una panchina stiamo individuando chi è islandese e chi invece un turista… oh c’è chi può e chi non può!!
Altra cena per Sassoli altra zuppa, ne è un dipendente sfrenato, io invece toast islandese… prova superata per entrambi.
p.s. dimenticavo, una frase stasera ha sconvolto gli animi del buon Sassoli (mi dispiace non me la ricordo più) bhè quindi si tuffa in un internet point, fruga tra le sue e le mie email alla ricerca di Magnus… alla fine lo chiama ma il nostro amico è un confusionario non si ricorda neanche quello che ha mangiato a pranzo, figuriamoci una mail di 1 settimana fa. Insomma si accroda per trovarci domani alla 14 all’aeroporto, ma non è molto sicuro che lui ci sarà perché…to be continued, alla prossima puntata riuscirà il nostro eroe ad entrare in possesso della Suzuki Jimny? Seguiteci domani su onda Keflavik!
diario: 5 agosto
London-Reykjavik
La stanza d’albergo è stata progettata da un miniaturista scozzese e si vede, la Callegaro in tutta la sua iperattività stamane ha rotto gli esili equilibri della toilette e una delle sue lenti è caduta nel liquido amniotico del water closed.
Così abbiamo studiato un metodo: io mi faccio la barba mentre lei si fa la doccia in modo da permettere ai ladri di svaligiare tutto e fumarsi un cicchino…!
Dopo aver fatto colazione, rigorosamente inglese (pancetta, frittata e wurstel) si approda alla St. Paul Cathedral, tempio della religiosità londinese la domenica,e punto d’incontro per scambisti il martedì sera.
La cupola con la sua piena rotondità biancheggia alta su Londra, sulle nostre facce sudate che cercano la fine di tanta altezza, il termine ultimo di tale imponenza.
E le mie foto, da italiano medio, le mie occhiate alle canne d’organo, insomma tutte ste cose da vacanze d’agosto perdono consistenza al cospetto di tale bellezza.
Ci inoltriamo oltre il Thames, veniamo rapiti dallo sfolgorio di Southwark Cathedral, splendida chiesa gotica al cui interno ci sono in praticamente tutti; la corista 50enne che ha lascaito il pudding in forno, il cappellano sfigato a cui non sta più la tonaca e il lettore di omelie presunto gay.
Il prete invece pare stia smaltendo una grossa sbornia presa giovedì a Soho; lo hanno sospeso dal servizio, anche perché da due domeniche non era più lo stesso, leggeva a tutti i brani di Martin Luther King al posto di Martin Lutero!
Starbuck’s Coffeee è dietro l’angolo, la Mirca si getta generosamente su un milk shake alla vaniglia, ma di vaniglia lamenta che ce ne sia davvero poca tanto che deve ricorrere al distributore automatico.
Archiviato lo Starbuck’s, percorriamo Tower Bridge, giungiamo a Soho osservando al fauna che vi abita, fotografiamo 2/3 bordelli e poi tutti a prendere il waffle. Servito su un piattino di plastica, con la cioccolata che cola da tutti i lati, questa delizia dolciaria rimane una delle maggiori attrazioni di Oxford Street alle 2 del pomeriggio.
Un ultimo sguardo a Belgravia, quartiere della high class e poi siamo costretti a lascaire Londra. Il tragitto by train verso Stansted è quasi un percorso mentale che capovolge l’animo. Le verdi brughiere che scivolano ai lati del finestrino hanno il potere di depurare in un solo istante tutto ciò che Londra ci aveva ingordamente gettato contro (il caos, il lusso, i bar strapieni di gente che vive, lavora, fa l’amore, tutta gente come noi in fondo, ma che vive e abita a Londra).
Grande Londra! E’ quasi una donna, prosperosa e altezzosa che offre tutto e un minuto dopo toglie tutto.
Ora siamo qui, in aeroporto, con la luce arancio del tramonto che filtra dalle vetrate, con l’aria un po’ stanca e felice di chi tra due ore sarà nel posto più bello del mondo.
Sorvoliamo la Gran Bretagna, da quel che ci riesce di capire dal nostro pilota che parla soprattutto islandese e ogni tanto si ricorda di dire qualcosa anche in inglese.
Dopo più di 2 ore di volo ecco spuntare la nostra isola, peccato che sia visibile dall’altro lato dell’aereo, dalla nostra parte mare, mare e ancora mare.
Ogni tanto, sbirciando tra le teste dei nostri compagni di viaggio, riusciamo a scorgere le coste islandesi, il mare, i ghiacciai, il verde dei prati, le rocce nere insomma la prima impressione è un misto di meraviglia e stupore..siamo incantati
Finalemente mettono i blocchi alle ruote, e ci lasciano scendere, l’aria è frizzante e Sassoli sfoggia una mise molto cittadina, maglietta maniche corte in mezzo a tanti imbaccucati.
Già sull’autobus che ci porta a Reykjavik abbiamo qualche assaggio di ciò che ci aspetta…p.s. sono le 23.30 e c’è il sole che comincia ad imbrunire, bellissimo… una sensazione strana costeggiamo il mare con un tramonto d’incanto mentre alla nostra sinistra distese laviche intramezzate da prati verde smeraldo. Ci depositano al terminal dei bus. Comincia l’avventura…
Reykjavik si presenta bene, il sole al tramonto inoltrato rende particolare queste viuzze con le case tutte colorate. Sopra la collina svetta la Hallgrinskjrkia, imponente e maestosa domina la città. Ci lanciamo alla ricerca di una sistemazione ma ahimè non siamo molto fortunati nonostante l’aiuto di un tipico islandese di mezza età che si offre di telefonare ad una guesthouse che è in ristrutturazione. Sassoli, viaggiatore navigatore, propone di ritonare al terminal dei bus e sistemarci li, almeno siamo al caldo.
Ci sono già un paio di avventori che hanno avuto la nostra stessa idea, ci aggiungiamo alla mischia.Armato di cuscino gonfiabile Sassoli si stende sui sedili e si addormenta, io resisto ancora un po’ ma poi anche a me cala la palpebra.
La stanza d’albergo è stata progettata da un miniaturista scozzese e si vede, la Callegaro in tutta la sua iperattività stamane ha rotto gli esili equilibri della toilette e una delle sue lenti è caduta nel liquido amniotico del water closed.
Così abbiamo studiato un metodo: io mi faccio la barba mentre lei si fa la doccia in modo da permettere ai ladri di svaligiare tutto e fumarsi un cicchino…!
Dopo aver fatto colazione, rigorosamente inglese (pancetta, frittata e wurstel) si approda alla St. Paul Cathedral, tempio della religiosità londinese la domenica,e punto d’incontro per scambisti il martedì sera.
La cupola con la sua piena rotondità biancheggia alta su Londra, sulle nostre facce sudate che cercano la fine di tanta altezza, il termine ultimo di tale imponenza.
E le mie foto, da italiano medio, le mie occhiate alle canne d’organo, insomma tutte ste cose da vacanze d’agosto perdono consistenza al cospetto di tale bellezza.
Ci inoltriamo oltre il Thames, veniamo rapiti dallo sfolgorio di Southwark Cathedral, splendida chiesa gotica al cui interno ci sono in praticamente tutti; la corista 50enne che ha lascaito il pudding in forno, il cappellano sfigato a cui non sta più la tonaca e il lettore di omelie presunto gay.
Il prete invece pare stia smaltendo una grossa sbornia presa giovedì a Soho; lo hanno sospeso dal servizio, anche perché da due domeniche non era più lo stesso, leggeva a tutti i brani di Martin Luther King al posto di Martin Lutero!
Starbuck’s Coffeee è dietro l’angolo, la Mirca si getta generosamente su un milk shake alla vaniglia, ma di vaniglia lamenta che ce ne sia davvero poca tanto che deve ricorrere al distributore automatico.
Archiviato lo Starbuck’s, percorriamo Tower Bridge, giungiamo a Soho osservando al fauna che vi abita, fotografiamo 2/3 bordelli e poi tutti a prendere il waffle. Servito su un piattino di plastica, con la cioccolata che cola da tutti i lati, questa delizia dolciaria rimane una delle maggiori attrazioni di Oxford Street alle 2 del pomeriggio.
Un ultimo sguardo a Belgravia, quartiere della high class e poi siamo costretti a lascaire Londra. Il tragitto by train verso Stansted è quasi un percorso mentale che capovolge l’animo. Le verdi brughiere che scivolano ai lati del finestrino hanno il potere di depurare in un solo istante tutto ciò che Londra ci aveva ingordamente gettato contro (il caos, il lusso, i bar strapieni di gente che vive, lavora, fa l’amore, tutta gente come noi in fondo, ma che vive e abita a Londra).
Grande Londra! E’ quasi una donna, prosperosa e altezzosa che offre tutto e un minuto dopo toglie tutto.
Ora siamo qui, in aeroporto, con la luce arancio del tramonto che filtra dalle vetrate, con l’aria un po’ stanca e felice di chi tra due ore sarà nel posto più bello del mondo.
Sorvoliamo la Gran Bretagna, da quel che ci riesce di capire dal nostro pilota che parla soprattutto islandese e ogni tanto si ricorda di dire qualcosa anche in inglese.
Dopo più di 2 ore di volo ecco spuntare la nostra isola, peccato che sia visibile dall’altro lato dell’aereo, dalla nostra parte mare, mare e ancora mare.
Ogni tanto, sbirciando tra le teste dei nostri compagni di viaggio, riusciamo a scorgere le coste islandesi, il mare, i ghiacciai, il verde dei prati, le rocce nere insomma la prima impressione è un misto di meraviglia e stupore..siamo incantati
Finalemente mettono i blocchi alle ruote, e ci lasciano scendere, l’aria è frizzante e Sassoli sfoggia una mise molto cittadina, maglietta maniche corte in mezzo a tanti imbaccucati.
Già sull’autobus che ci porta a Reykjavik abbiamo qualche assaggio di ciò che ci aspetta…p.s. sono le 23.30 e c’è il sole che comincia ad imbrunire, bellissimo… una sensazione strana costeggiamo il mare con un tramonto d’incanto mentre alla nostra sinistra distese laviche intramezzate da prati verde smeraldo. Ci depositano al terminal dei bus. Comincia l’avventura…
Reykjavik si presenta bene, il sole al tramonto inoltrato rende particolare queste viuzze con le case tutte colorate. Sopra la collina svetta la Hallgrinskjrkia, imponente e maestosa domina la città. Ci lanciamo alla ricerca di una sistemazione ma ahimè non siamo molto fortunati nonostante l’aiuto di un tipico islandese di mezza età che si offre di telefonare ad una guesthouse che è in ristrutturazione. Sassoli, viaggiatore navigatore, propone di ritonare al terminal dei bus e sistemarci li, almeno siamo al caldo.
Ci sono già un paio di avventori che hanno avuto la nostra stessa idea, ci aggiungiamo alla mischia.Armato di cuscino gonfiabile Sassoli si stende sui sedili e si addormenta, io resisto ancora un po’ ma poi anche a me cala la palpebra.
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