Reykjavik km. 50120-Keflavik km. 50172
I miei 3 compagni di stanza stanno ancora dormendo quando faccio per andare giù in cucina, la stessa cazzo di cucina superaffolata di cereali, petardi, filo per cucire. Una cucina vissuta, oltraggiata, come quando ieri sera ci siamo rimessi in circolo con i 4 italiani di ritorno da Husalfell. Uno di loro, detto Skogar ha iniziato a mangiare alle 21.10 e ha finito alle 22.40 dopo che erano terminate le scorte di provolone gigante.
L’altro che chiameremo Drum, perché verso le 23 si intabacca di brutto mi ha sbagliato il più bello dei fiordi orientali che ha additato come Seidasfiordu. Nonostante gli sforzi fonetici e le tavole di algoritmi fra tutti e due non ne azzecavamo uno. Un ultimo simpatico saluto ai programmatori dalla barba di 8 giorni e alle loro rispettive ragazze che in totale hanno occupato la cucina per 6 ore, 48 minuti e 13 secondi.
Stamani ci accoglie la solita cazzo di nebbia, è una nebbia insistente, quasi bigger than life; l’unico punto dove non attecchisce sono le stazioni dell’N1.
A proposito di N1 ieri è passato a miglior vita un suo anziano dipendente che aveva optato per un tour in kayak sulle rive della tranquilla Dettifoss; lo ha ritrovato un astronauta in pensione nella provincia di Hofn. 2 giorni dilutto nazionale.
Finalmente Keflavik! Ci appare sotto l’involucro dei suoi pesanti vetri quadrati, è il momento dell’addio a Sprengy parcheggiata alle departures, forse è un po’ più bassa di quando l’avevamo presa ma ciò che conta è che il manometro olio funzioni di nuovo.
Ci dimentichiamo per un attimo la sparpagliata periferia di Reykjavik, i suoi alberelli verdi e il transfer all’aeroporto ci lascia un silenzio irreale, fatto per i ricordi, le lunghe e accidentate distese di lava, i fiordi selvaggi spaccati dal vento, il caffè lungo del mattino, emozioni di 25 giorni tra l’inferno e il paradiso.
In questo terminal desolato, movimentato solo da frotte di turisti americani accompagnati quasi per mano da una squadra di hostess in divisa blu con i pantaloni che nel frattempo puliscono il pavimento, veniamo a conoscenza dell’entità dei danni riportati alla nostra Sprengy. La prima sassata arriva dal giorno in più poi la ciliegina ce la mette Magnus sul carter che abbiamo lasciato a Hraunhafnartangi, eh va bhè un inconveniente doveva pur esserci, no?
116 euro per sto carter ma noi voliamo liberi verso Londra. Sono le 21.30, la Belgrove, la nostra amata pensioncina di King’s Cross ci attende con la sua camera bella accogliente, stavolta un finale senza sleeping bag.
Usciamo, ci gettiamo nel vivace quartiere di King’s Cross e ci fiondiamo da “Casa Mamma” un simpatico ristorante italiano.
Il titolare è un napoletano riccioluto, un po’ tozzo. Dall’alto dei suoi pasciuti 45 anni sorride fiero a sua moglie e al figlio e liquida tutti con un italofono Dank you and ba-ba. E’ uno dei tanti italiani che qui ce l’hanno fatta, Londra, magnifica Londra!! che continua a sorprenderci anche di notte, nel pieno dei suoi locali trendy o al buio di uno scassato thai caffè. Ovunque c’è una pallida luce al neon quella è ancora Londra! Buonanotte allora nostra vecchia signora, domattina defloreremo il St. James, ci appoggeremo sulle nere ringhiere di Buckingam e poi ti abbandoneremo su un’anonimo treno per Stansted.
lunedì 1 ottobre 2007
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