lunedì 1 ottobre 2007

29 agosto

Vik km. 49750-Reykjavik km. 50120

Siamo ormai talmente abituati a toglierci le scarpe che dovremo far attenzione al ritorno; c’è il rischio di entrare nell’antisala del dentista e togliersele, in una car wash e togliersele, oppure andare dal dottore e chiedergli se ha camere per sacco a pelo.
Insomma questi automatismi, piacevoli o meno sono ormai entrati di diritto nel nostro inconscio; è possibile che in piena notte mi alzi in cerca di una pompa di benzina o che mi metta a pagare una scatola di assorbenti con la scheda dell’N1.
Di ostelli ne abbiamo visti tanti, tanti da provare un minimo di tenerezza stasera stipati qui a Reykjavik, nella guesthouse dell’esercito della salvezza, con i suoi 4/5 piani fitti di camere a cui si accede dopo strette e infinite scale in legno. C’è odore di moquette nelle stanze, un piccolo lavandino presente in quasi tutte le sistemazioni a basso costo che non ho mai capito a cosa serva. Troppo piccolo persino per la barba, probabile è l’ideale per tuffarci gli omini del lego e valutare i principi di galleggiamento.
E’ proprio il tipo di posto da interrail o da erasmus squattrinati che fa rimpiangere non aver studiato lingue con 5 anni fuori corso.
Arrivati fin qui da un tour piuttosto anonimo se si eccettua il ristorante di Stokkseyri foriero di un’ottima zuppa d’aragosta, siamo pressochè agli sgoccioli. Io ho l’aria ben trasandata, barba di 15 giorni, capello stile monaco capetingio e calze a rete. In fondo ricordo ai miei lettori che in questa vacanza ho perso tutto, ragazza, lavoro, stima di mia madre quando tornerò. Mi piace immaginare che la mia barba racconti la crescita dei pensieri, l’accumulo di idee, e adoro travestirmi da clochard in fuga. Una fuga dritta, senza confini, in questa terra di lunghissimi rettilinei selvaggi, mari tempestosi che scuotono le finestre, piccoli paesini illuminati solo dalla luce del porto.
Dove c’è l’N1 c’è speranza! Ha detto oggi il presidente alla tv ed ha ragione di brutto. Spendiamo le ultime 5000 corone in benza presso Hverageroi, che si piazza al 233 posto come paese più brutto visto sinora. Al 234 c’è Sellfoss dotato di uno zuccherificio aperto al pubblico con degustazione gratuita delle barbabietole. Al 235 possiamo tranquillamente inserire “porca paletta”, o meglio Porlakshofn; per arrivare al centro è meglio che facciate un buco in terra come fece Verne perché altrove non ve n’è. 236 posto se lo aggiudica la pioggia di Reykjavik, piove sempre in questa cazzo di metropoli; ce ne accorgiamo dall’odore del formaggio che qui sa più di caffeina.
83 minuiti per concludere la tangenziale ed arriviamo a Reykjavik C, che sarebbe la BSI e l’aeroporto. Quasi commossi rimettiamo gli occhi sulle panchine dove abbiamo dormito la notte del 6 agosto. Nulla è cambiato, sullo scaffale del piccolo bistrot c’è ancora lo stesso panino del 6 agosto.
Che bello essere di nuovo qui! Direbbero gli intimisti francesi. Affacciarsi al primo supermarket e squadrare la cassiera, una pittoresca signora 70enne per poi scendere lenti verso la city, sorprendersi di fronte alle luci appena accese che sfavillano sull’asfalto bagnato.
Cenare, dimenticarsi che giorno sia, aspettare la notte con una Guinness in mano, tutto questo è Reykjavik.

Nessun commento: